Bruxelles – Pallido, incerto. Jeroen Dijsselpbloem, presidente dell’Eurogruppo, non sapeva che pesci prendere dopo la riunione del pomeriggio di oggi, quella senza il rappresentatane greco. Dopo i primi fuochi artificiali del pomeriggio con i quali la polemica con Atene sembrava al calor bianco, in serata il clima è stato di di evidente preoccupazione.
Certo, Dijsselbloem ha ripetuto che è stata la Grecia a lasciare il tavolo, ma ha anche aggiunto che “probabilmente il processo in corso non finirà mai, continueremo a lavorare con la Grecia”. La scelta del premier ellenico Alexis Tsipras di rovesciare il tavolo e lanciare un referendum sulle proposte dei creditori ha fatto perdere ogni punto di riferimento all’Europa. In tanti si sono proprio arrabbiati, ma hanno dovuto rapidamente rendersi conto che la palla non è nel campo della Grecia, quanto piuttosto in quello dei creditori.
Tanto che nessuno, dopo le prime sceneggiate, ha messo in dubbio che Atene resterà nell’euro. Dopo le prime reazioni molto nervose si sono inseguite le dichiarazioni per spiegare che il club dell’euro “è composto e continuerà ad essere composto di 19 Paesi”, come ha detto Dijsselbloem. Come lui hanno fatto anche almeno due commissari europei (tra i quali un vice presidente) e alcuni ministri, tra i quali il francese Michel Sapin. “L’uscita della Grecia dall’euro non è affatto inevitabile. Atene non è uscita dall’euro, in questo momento c’è una situazione di crisi e ci sono scadenze di pagamento imminenti, che vedremo se si potranno rispettare o meno, ma non c’è nessuna uscita in vista”, ha detto anche Pier Carlo Padoan. Dunque la Grecia è nell’euro e ci resterà, ragionevolmente, anche per almeno tutta la prossima settimana. Questo vuol dire che si farà di tutto per non farla fallire, anche se il piano di aiuti termina martedì e il referendum, se si terrà, sarà solo domenica prossima.
La Zona euro, l’Unione europea tutta, la Gran Bretagna in particolare, e gli Stati Uniti vogliono mantenere l’integrità della moneta unica. Un cedimento sarebbe un danno per tutti. Forse qualcosa accadrà già domenica, domani, quando si riunirà in teleconferenza il board dei governatori della Banca centrale europea. Mario Draghi, oramai due anni fa, disse che avrebbe fatto “qualunque cosa” per salvare l’euro. E lo ha spesso ribadito. Dunque potrebbe decidere, tanto per cominciare, di continuare a finanziare le banche greche dalle quali i correntisti hanno ritirato da tempo tutto il contante, che oramai arriva solo da Francoforte. C’è un’urgenza che riguarda tutti, spiegano alcune fonti diplomatiche: “Dare una qualche risposta prima che lunedì riaprano i mercati”. I pessimisti vedono come inevitabile invece una chiusura della banche per tutta la settimana. La Bce ne controlla quattro, le principali: Alpha Bank, Eurobank, Banca nazionale di Grecia e Banco del Piero; chiuderle bloccherebbe in pratica totalmente ogni attività economica in Grecia e l’euro ne uscirebbe a pezzi. L’Eurogruppo non ha annunciato nuovi incontri, ma ha poco da dire al momento, se non che accetta gli emendamenti greci al piano dei creditori, evento per lo meno improbabile al momento.
“I creditori sono pronti a fornire assistenza tecnica al sistema bancario greco. Siamo pronti a sostenere la Grecia se e quando ci sarà richiesto, dopo che l’attuale programma sarà scaduto”, ha detto ancora Dijsselbloem questa sera. Poi non è detto che per martedì la Grecia non paghi gli1,6 miliardi dovuti. Fino a due giorni prima della proclamazione del referendum, forse l’ultima volta che ha parlato prima delle poche battute, che non sembravano di chiusura definitiva di oggi, il direttore generale del Fondo, Christine Lagarde, si diceva certa che Atene avrebbe pagato, e questa scadenza non riguarda il piano per i prossimi anni.
Nessuno trarrebbe vantaggi se la zona euro perdesse un pezzo, neanche la Spagna che è terrorizzata che una “vittoria” di Tsipras possa aprire le porte a un successo elettorale (ancora più grande del previsto) di Podemos alle elezioni di novembre. Aanche se il governo Tsipras ha negoziato in un modo che ha fatto arrabbiare tanti, ancora all’Unione europea conviene tentare uno sforzo in più per tenere Atene nella moneta unica. I mezzi per “fargliela pagare”, poi, non mancheranno.