di Alessandro Cianci
Per decenni l’esistenza di una correlazione tra disuguaglianza nella distribuzione dei redditi e crescita economica non ha trovato grande fortuna tra i sostenitori del pensiero economico dominante. A dire il vero, durante gli anni ‘80, con la presidenza di Ronald Reagan, ci si è spinti addirittura ad affermare che le politiche di redistribuzione fossero dannose per la crescita, per cui tassare i ricchi per concedere maggiori risorse alla parte più debole di un paese fosse controproducente.
Secondo questa impostazione, infatti, i benestanti rappresentano la parte più produttiva del paese, quindi non è opportuno togliere loro alcuna risorsa e un eventuale aumento della disparità nei redditi tra ricchi e poveri deriva dalla diversa capacità produttiva tra classi sociali. La Reaganomics (come si suol chiamare il pensiero economico riconducibile dell’ex presidente americano) ha riscosso molto successo e da allora ha rappresentato una delle tante “certezze dogmatiche” per governanti intenti ad argomentare contro ogni ipotesi di imposta patrimoniale, contributo di solidarietà o semplice tassazione progressiva del reddito.
Ma poi è arrivata la crisi, che ha svelato tutte le contraddizioni ed i limiti delle politiche economiche neoliberiste ed il tema di uno sviluppo economico più equilibrato ha invaso le piazze grazie a movimenti quali Occupy Wall Street negli USA o gli indignados in Spagna. Probabilmente va ricercato nella vasta eco avuta da quest’ultimi l’insperato successo ottenuto dai contributi in materia, sia dell’economista francese Thomas Piketty che dei premi Nobel Paul Krugman e Joseph Stiglitz.
In vario modo questi autori hanno dimostrato come negli ultimi anni la forbice dei redditi si sia gravemente allargata, raggiungendo livelli mai conosciuti prima, e come questo eccessivo divario tra ricchi e poveri sia un concreto ostacolo alla crescita ed al progresso economico. La lotta alla disuguaglianza non è un tormento per cuori caritatevoli, ma è una sfida fondamentale per poter superare la crisi e tornare a crescere, comunque la si pensi.
A suggello di queste tesi arriva un recente studio del Fondo monetario internazionale, che riporta esplicitamente i lavori citati, affermando che il gap tra ricchi e poveri negli ultimi anni è incredibilmente aumentato, in particolar modo nei paesi emergenti. Gli economisti del Fondo dimostrano l’importanza di politiche economiche che tengano conto della parte più debole della società (poveri e middle-class) poiché – argomentano gli autori – una distribuzione del reddito più omogenea è importante per garantire la crescita economica e la sua sostenibilità. Il Fondo dimostra in modo chiaro ed inequivocabile che
La disuguaglianza può essere un segnale di mancanza di mobilità sociale e di opportunità e riflette una situazione di svantaggio permanente per particolari segmenti di una società. L’ampliamento della disuguaglianza ha anche importanti implicazioni per la crescita e la stabilità macroeconomica; essa può determinare un accentramento del potere nelle mani di pochi, dal quale deriva un uso non ottimale delle risorse umane che può causare instabilità politica ed economica nonché una riduzione degli investimenti associata ad un aumento del rischio che si verifichi una crisi economica.
Parola di Fondo monetario internazionale.