Bruxelles – Hanno battuto i pugni sul tavolo, portato la discussione a toni più da litigio che da discussione politica, ma alla fine hanno dovuto piegarsi e fare buon viso a cattivo gioco. La decisione dei capi di Stato e di governo sull’immigrazione, alla fine di un vertice europeo trascinatosi fino alle tre del mattino, rimane quella con cui si era entrati: il sistema di redistribuzione di migranti da Italia e Grecia non sarà obbligatorio. Ha dovuto accondiscendere Matteo Renzi, che pure ha tentato un guizzo dell’ultimo minuto, alzando di parecchio i toni della discussione e come lui ha fatto il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker che aveva promesso di difendere la proposta dell’esecutivo Ue, che prevedeva l’obbligatorietà della partecipazione alla redistribuzione “fino all’ultima parola”.
Ma proprio su quell’ultima parola, “obbligatorio”, si è scatenato il finimondo, sebbene tutti, a cose fatte, neghino qualsiasi tipo di scontro e si dichiarino se non vincitori, almeno non sconfitti. “Abbiamo detto fin dal primo giorno che l’accordo avrebbe potuto essere più ambizioso” ma “tuttavia è un primo passo per dire che finalmente c’è una politica europea e non soltanto una politica dei singoli Stati”, valorizza così il risultato il premier italiano. Anzi, arriva a dire, l’avere concordato sulla ricollocazione, sebbene su base non vincolante, di 40 mila persone “è un fatto positivo che evidenzio con grande gioia”.
Idem per Juncker che in una conferenza stanpa notturna (tra una lamentela e l’altra per le poche ore di sonno), scherza e ride con “l’amico Donald Tusk”, con cui a porte chiuse, secondo diverse fonti, ha invece avuto uno scontro molto duro. Ma a decisioni ormai prese Juncker declassa il dibattito sui termini “obbligatorio” o “volontario” ad un puro “dibattito teologico”: “Ci siamo messi d’accordo sul fatto che l’Ue deve fare in modo che 40 mila persone siano ricollocate e 20 mila reinsediate” dai Paesi terzi, ricorda Juncker, poi “che lo facciamo per via volontaria od obbligatoria non è importante”, quello che conta è “dare una prospettiva di vita a 60 mila persone”. Per Juncker i numeri “restano modesti” ma che il risultato sia annullato per la mancata obbligatorietà è fuori discussione, visto soprattutto che entro la fine dell’anno la Commissione presenterà un meccanismo permanente sulla falsariga di questo (che è solo emergenziale) e quindi avere tracciato la via non è cosa da poco.
Nelle conclusioni del vertice dunque, non compaiono né la parola “volontaria” per cui premevano gli Stati dell’Est e nemmeno il termine obbligatorio. Restano fissate le cifre (40 mila più 20mila) e un meccanismo da mettere in piedi di qui alla fine di luglio a cura dei ministri degli Interni. La novità è che sono state accolte le istanze di Ungheria e Bulgaria, che hanno lamentato un accesso di migranti in arrivo dalla rotta dei Balcani, persino più consistente, negli ultimi mesi, di quello di Italia e Grecia. Per i loro “casi specifici”, quando i ministri degli Interni avranno il duro compito di decidere quanti migranti dovrebbe accogliere ogni Paese, saranno previste le uniche “eccezioni fondate”.
Si è trovato anche un escamotage per uscire dal dibattito procedurale insorto tra Juncker e Tusk, il primo convinto della necessità di andare al voto a maggioranza qualificata per inchiodare ogni Stato alle sue responsabilità, e il secondo sostenitore di una meno divisiva decisione “per consenso”. I ministri degli Interni dei Ventotto, che si troveranno a capire come raggiungere nella pratica il risultato dei 40 mila ricollocamenti, dovrebbero votare a maggioranza qualificata soltanto questo obiettivo generico. Cifre e impegni concreti dovrebbero essere invece relegati ad un annesso votato per consenso.