Bruxelles – Una scatola vuota. Se ne è stabilita la dimensione, se ne sono tracciati i confini, ma che cosa metterci dentro è ancora tutto da decidere. Si dirà che ha vinto l’Europa, quella della solidarietà, degli Stati che sono capaci di condividere il peso delle emergenze. Ma dalla riunione dei capi di Stato e di governo di oggi e domani a Bruxelles l’unica cosa che sembra emergerà chiaramente (al netto di sorprese dell’ultim’ora in cui nessuno spera più), è che la volontà di prendere impegni concreti sull’immigrazione non c’è. D’accordo, si è stabilito che da Italia e Grecia saranno trasferiti 40 mila rifugiati, si è deciso di farlo in due anni. Ma sulle questioni vere, e cioè chi li dovrà ospitare e quanti ne toccheranno ad ogni Stato membro, nemmeno una parola. Solo l’impegno a mettere in piedi il meccanismo per la redistribuzione entro la fine di luglio: il problema, dunque, non è affatto risolto, semplicemente rimandato e soltanto di un mese. Un tempo in cui pare a dir poco arduo riuscire a convincere Paesi come l’Ungheria, che stanno mostrando di non farsi scrupoli a dire “no” decisi alle regole europee, anche a quelle che ora non dovrebbero nemmeno essere in discussione, come il regolamento di Dublino.
E solo di “convincere” i Paesi riluttanti si parla a questo punto perché per poterli “obbligare” non ci sono più le basi, visto che dalla formulazione su cui dovrebbero concordare i capi di Stato e di governo, è sparita qualsiasi traccia dell’obbligatorietà per cui la Commissione europea si era battuta. Certo la diplomazia può contare su mezzi di persuasione anche potenti, ma pensare che un meccanismo su semplice base volontaria possa funzionare senza intoppi e arrivare a coinvolgere tutti, pare una previsione decisamente ottimistica. E anche i Paesi che volessero contribuire: quanti rifugiati ospiteranno? Chi stabilirà questo numero? Sarà anche questa una proposta volontaria o ci sarà ancora un qualche criterio di calcolo, magari diverso da quelli proposti (e tanto criticati) dall’esecutivo Ue? Si deciderà, tutto si deciderà entro luglio, si continua a ripetere. Vedremo, ma parlare di un’emergenza che oggi trova la sua soluzione sembra davvero azzardato. Siamo a una dichiarazione di intenti, che si dovrà vedere se e come sarà concretizzata. Niente di più.
Entrando al vertice Renzi ha voluto prendere tempo prima di definirsi “soddisfatto”, ma ha comunque mostrato un atteggiamento positivo, tornando a parlare di un “tema non più solo dell’Italia o del Mediterraneo ma di tutta l’Europa”. Più realistica Angela Merkel: “Ci sono notevoli tensioni tra gli Stati membri e questo non possiamo permettercelo”, ha avvertito, sottolineando che la proposta che andava “nella giusta direzione” era quella della Commissione e cioè quella delle quote obbligatorie, che la Germania, insieme ad Italia e pochissimi altri, ha sostenuto senza successo. A sintetizzare meglio l’impasse è il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk: “Non c’è consenso degli Stati membri su quote obbligatorie”, chiarisce, ma allo stesso tempo, “un meccanismo volontario è credibile solo con impegni precisi e vincolanti”. Impegni che ora nessuno ha voluto prendere. Si vedrà se da qui a fine luglio le cose potranno davvero cambiare.