In un recente articolo sul Corriere, Ernesto Galli della Loggia afferma che dell’emigrazione abbiamo bisogno, perché ci stiamo estinguendo e non avremo ben presto i numeri per essere una società sostenibile da una generazione all’altra. Ma l’unico modo per accogliere i migranti è l’integrazione, non il multiculturalismo, sostiene sempre Galli della Loggia. Quando però passa a descrivere il suo modello di integrazione, abbandono della lingua madre e trasformazione del migrante in italiano, Galli della Loggia sembra piuttosto riferirsi all’assimilazione e non all’integrazione: una confusione pericolosa. Comunque sia, la questione è vecchia come il mondo e sono sempre questi i due modelli che si offrono a coloro che emigrano: rimuovere la propria identità assimilandosi alla nuova cultura in cui ci si innesta oppure mantenerla e integrarsi con le proprie connotazioni culturali nella nuova appartenenza, accettandone ovviamente i riferimenti essenziali. Quest’ultimo modello è quello del multiculturalismo che, bisogna riconoscerlo, in Europa sta mostrando i suoi limiti. Diverso dal melting pot americano, che alla fine non è multiculturalismo ma una calibrata assimilazione a una cultura dominante che lascia finti spazi di autonomia etnica, il multiculturalismo puro funziona meglio quando per tutti i componenti di una società l’elemento culturale è relativo e non esclusivo, quando i gruppi diversi sono di piccola entità, anche se numerosi. Oggi la predominanza di una migrazione monolitica che si caratterizza per la sua religione rende questo modello impervio, soprattutto perché dà alla maggioranza la sensazione di essere una minoranza e di perdere la propria identità.
Ma se davvero si vuole abbandonare il multiculturalismo e optare per l’assimilazione, bisogna ancora averne i mezzi. Non tanto finanziari, quanto ideali. Un individuo accetta volentieri di abbandonare la propria appartenenza quando la considera debole e perdente rispetto alla cultura in cui viene accolto o quando quest’ultima è talmente attraente e promettente da offuscare i vantaggi della conservazione della propria cultura d’origine. Questo è accaduto a tanta emigrazione italiana che nei paesi dove si è insediata ha quasi sempre perso prima la lingua e poi l’appartenenza. Oggi la stragrande maggioranza dell’emigrazione italiana non parla più italiano e coltiva le proprie origini solo in modi superficiali, ispirati a un’immagine dell’Italia che scaturisce comunque dalla cultura in cui si sono insediati più che da una vera frequentazione. Segno che per tutti loro cancellare la propria italianità è stato uno strumento di ascesa sociale. Conveniva non essere italiani per migliorare le proprie condizioni.
Pensa Galli della Loggia che la nostra cultura abbia oggi questi connotati di attrattiva? Parlo della cultura della società italiana moderna, non di quella del Rinascimento o dell’età classica. Che cosa può esserci di attraente in un paese allo sfacelo, che crolla sotto le contraddizioni, dove la corruzione è un sistema di vita, l’autorità ha perso ogni credibilità, l’economia e sotto la tenda ad ossigeno, lo Stato è assente o impotente e la burocrazia uccide ogni palpito di iniziativa? Come accade fra i singoli individui, per piacere bisogna prima piacersi, credere in sé, avere una favola da raccontare, un sogno da offrire. In Italia a che cosa si integrerebbero o assimilerebbero i migranti che anche lo volessero? A Mafia Capitale o al camorrismo lombardo? Allo sfascismo grillista o allo strazzismo leghista? In Europa i maestri dell’assimilazione sono stati in passato i francesi. Loro hanno saputo a lungo attrarre con il fascino della religione laica dello Stato. Uno Stato che davvero garantiva a tutti l’uguaglianza e le pari opportunità nella conversione alla République. Finché è durata. Oggi neppure questo modello funziona più. Perfino la Francia, Stato per eccellenza, non ha più i mezzi delle proprie ambizioni. E vogliamo suscitare appartenenza noi, frantumati in mille egoismi, succubi di dinamiche tribali, incapaci perfino di avere un progetto per noi stessi? Vogliamo infondere identità noi che non sappiamo neanche chi siamo? Forse invece ci converrebbe abbandonare l’italianità che affonda e acquisire noi identità e costumi dei nostri disgraziati ospiti. Chissà, magari avremmo un futuro migliore da eritrei sbarcati in Italia che da veneti rimasti in Veneto. Non l’ha fatto Enea di fuggire da Troia in fiamme per fondare Roma? Lasciamoci dunque rifondare e estinguiamoci senza dare fastidio.