di Luigi Pandolfi
Il dopo elezioni in Spagna ci restituisce uno scenario politico del tutto inedito, forse prodromico di ciò che potrebbe accadere da qui a qualche mese, dopo le elezioni politiche. Sebbene con diffusione a geometria variabile, si va affermando un asse Podemos-PSOE per il governo di comuni e regioni che, solo fino a qualche settimana fa, era inimmaginabile, per niente scontato. Da Madrid alla regione della Castilla-La Mancha, fino alle isole Baleari, la formula del “mutuo soccorso” tra i due partiti sta dando in questi giorni buona prova di sé, preparando il campo per una possibile, ancorché non scontata, intesa di governo a livello nazionale. Viene da chiedersi: cos’è che ha reso possibile questa collaborazione? Non vi è dubbio che la prospettiva di un accesso al governo del paese abbia determinato, per così dire, una “svolta pragmatica” del partito di Iglesias, ma, più del realismo di Podemos, è sicuramente il nuovo corso del PSOE che sta facilitando il dialogo a sinistra, tra sinistra politica tradizionale e gli epigoni delle piazze anti-austerità ed anti-casta degli anni scorsi.
Beninteso, il percorso iniziato dai socialisti poco più di un anno fa, fino ad oggi, è stato segnato da non trascurabili elementi di contraddittorietà, ma su alcuni punti cruciali esso ha fatto registrare una rottura netta col passato, con l’ultima stagione di governo che li ha visti protagonisti. All’indomani della sua elezione a segretario, Pedro Sanchez dichiarò che i suoi modelli erano Felipe Gonzales e Matteo Renzi, due nomi per due concetti apparentemente antitetici: legame con la tradizione socialista nazionale e ricambio generazionale al vertice del partito (“rottamazione”). Non citò Zapatero, l’artefice delle misure di austerità varate a cavallo tra il 2010 ed il 2011, contro le quali si affermerà il movimento degli indignados.
Il motivo si capirà qualche mese dopo, quando il giovane segretario si pronuncerà contro la norma costituzionale sull’obbligo del pareggio di bilancio, approvata con voto bipartisan nel 2011 proprio su proposta del governo guidato da Zapatero. Seguirà, com’è noto, la dura presa di posizione contro Juncker e la nuova Commissione di Bruxelles – giudicata troppo incline alle politiche di austerità – in dissenso col resto del Partito socialista europeo. Il richiamo a Renzi, ovviamente, era un modo per mettersi in sintonia con il pregiudizio anti-politico di gran parte dei ceti popolari, non certo un’adesione alle scelte che il premier italiano stava iniziando a compiere in campo economico ed in rapporto ai vincoli europei. Dal punto di vista elettorale, tutto ciò aveva – ed ha – un solo significato: riconquistare i voti finiti nella protesta, competere con Podemos agitando le stesse parole d’ordine: basta austerità, basta casta e corruzione. Esperimento riuscito? In parte si. I risultati dell’ultima tornata elettorale amministrativa hanno fatto registrare dei segnali di ripresa rispetto alle europee, rendendo la sconfitta, che pure c’è stata, meno pesante di quella subita dai popolari di Mariano Rajoy.
Per una sorta di eterogenesi dei fini, nondimeno, la scelta dei socialisti di competere con Podemos e l’area dei movimenti ha avuto, per ritornare al tema, anche un’altra e più importante conseguenza: ha fatto incontrare due mondi che, per ragioni evidenti, erano finora agli antipodi. Dal suo canto suo, Podemos ha favorito questo primo incontro con l’assunzione di un profilo sempre più “responsabile”. È stato lo stesso Iglesias, d’altronde, ad ammettere qualche mese addietro che il programma del suo partito può essere tranquillamente definito “realista, pragmatico e socialdemocratico”. In effetti, a sfogliare le 68 pagine del programma economico di Podemos, quello elaborato dagli economisti Vicente Navarro e Juan Torres Lòpez, a colpire è l’insistenza con cui nel documento viene messo l’accento sul termine “realismo”. Chiaro il concetto: «Actuar con realismo sin renunciar a los sueños». Nel merito, parliamo di un programma che, dalla riforma della governance comunitaria al reddito di cittadinanza, fino al tema “caldo” della moneta unica, vanta certamente contenuti “radicali”, ma non può essere ad ogni buon conto bollato come “eversivo”.
Intanto, in vista delle elezioni politiche del prossimo autunno, il dibattito ferve in tutti gli schieramenti. A sinistra, comunque, il tema vero è quello della costruzione, o meno, di un unico fronte anti-PP. È un tema che divide sia Podemos che Izquierda Unida, e non è estraneo al dibattito interno al PSOE. Podemos, per adesso, prende tempo, affermando che una cosa sono le regioni, un’altra il governo del paese. Ma i numeri della recente tornata amministrativa hanno dimostrato che il partito di Iglesias difficilmente potrebbe scalare da solo la vetta del governo nazionale. Resta una certezza, tuttavia: tra spinte al cambiamento e “realismo”, la Spagna si conferma sempre più laboratorio per una nuova stagione della sinistra in Europa.