di Monica Di Sisto, vicepresidente di Fairwatch, tra i promotori della Campagna Stop TTIP Italia
2-1: il Senato americano aveva approvato circa un mese fa una prima versione della Trade Policy Authority, cioè quella legge che permetterebbe ad Obama di cucinare in autonomia, come fa la Commissione europea, tutti i trattati commerciali senza dover rendere conto al Congresso. Il Congresso l’aveva successivamente respinta la scorsa settimana (in una versione rivista), perché non accompagnata da un adeguato fondo per compensare e ricollocare quei lavoratori che perderanno il posto a causa della prossima ondata di liberalizzazioni generata dal trattato transpacifico, il TPP, e da quello transatlantico negoziato con l’Europa, il TTIP.
Ieri, però, Obama ha riportato al Congresso, la stessa richiesta (allegandola ad una legge sul riordino delle attività antincendio), ed ha incassato il sì dei rappresentanti per una risicata maggioranza di 28 deputati democratici. Una cosa è chiara: il numero dei deputati favorevole a concedere mani libere a Obama in fatto di commercio è immensamente più ristretto di quello che aveva all’inizio di questo braccio di ferro. Il presidente USA, però, in questa settimana ha “lobbizzato” uno a uno i rappresentanti della sua maggioranza parlamentare, addirittura a suon di giretti turistici della Casa Bianca e a bordo dell’Air Force One per gli ospiti di maggior riguardo.
Altro particolare abbastanza inquietante di questo voto, è legato ad un passaggio del provvedimento stesso, aggiunto da un emendamento del repubblicano Paul Ryan, che svincola le trattative commerciali da ogni ulteriore obbligo per gli USA rispetto al riscaldamento globale o ai cambiamenti climatici. Con buona pace di chi si ostina a sostenere che con questo tipo di accordi si possono raggiungere più ampi standard mondiali in termini di qualità sociale e ambientale.
Insomma, il Congresso si è ben assicurato di non dover migliorare di un pelo la propria politica ambientale a causa del TTIP o del TPP. E, con un certo cattivo gusto, lo ha fatto proprio nel giorno in cui papa Francesco, con la sua enciclica “Laudato sii”, chiede ai grandi della Terra un salto di qualità rispetto a queste tematiche e a pochi mesi dalla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. “Pensavamo che almeno in questo giorno qualcuno avrebbe fatto finta di ascoltare un’autorità morale come Papa Francesco – ha lamentato a caldo la direttrice della rete climatica 360.org – e invece il Congresso si è inchinato ancora una volta a danarosi interessi particolari autorizzando una corsia preferenziale per dei trattati commerciali che ci faranno fare un gigantesco passo indietro nella lotta contro i cambiamenti climatici”.
I sindacati americani, altri potenti oppositori del provvedimento, hanno chiarito che non molleranno la presa e che hanno intenzione di mettere il Senato a ferro e a fuoco piuttosto che sottoporre i lavoratori americani all’ennesima impresa dall’esito certamente nefasto per loro: “La determinazione dei lavoratori è più solida che mai. Ci batteremo a tutti i livelli e in tutti i modi per proteggere i lavoratori americani e la nostra economia, respingendo il ‘fast track’ e questi accordi commerciali dettati dalle multinazionali”, ha dichiarato il presidente della federazione AFL-CIO Richard Trumka.
Anche in Europa le forze sociali e corporative si stanno riorganizzando in vista del 29 giugno, quanto la Commissione Commercio internazionale del Parlamento europeo (INTA) sarà chiamata ad esaminare gli emendamenti presentati alla Risoluzione parlamentare sul TTIP. Il voto sul testo è stato rinviato dal presidente del parlamento, il socialdemocratico Martin Schulz, perché non era sicuro che la propria maggioranza l’avrebbe appoggiato a causa delle pressioni e delle critiche sollevate dalla società civile di tutta Europa, ma anche da parte del mondo della manifattura e dell’industria.
La maggioranza socialdemocratica in Commissione sembra voler approvare una versione della Risoluzione molto simile a quella che aveva portato alla spaccatura e al suo rinvio un paio di settimane fa. L’idea è quella di cambiare qualche parola qui e lì, per dare un’impressione più convincente che i parlamentari S&D abbiamo raccolto le preoccupazioni dei cittadini europei per l’introduzione di un arbitrato privato a difesa degli interessi degli investitori, e per un’omologazione delle regole di qualità sociale e ambientale tra le due sponde dell’Atlantico. La realtà dei fatti, però, è che le versioni degli emendamenti presentati non mutano la sostanza della Risoluzione, dando quindi un pessimo segnale d’ascolto agli elettori dei partiti della socialdemocrazia europea, e riuscendo solo nel rassicurare i parlamentari Popolari e Liberali della fedeltà dei loro colleghi al patto di maggioranza.
La Risoluzione, d’altro canto, non è vincolante per la Commissione UE, unica delegata a negoziare per l’Europa, ma alla vigilia del nuovo round negoziale USA-UE fissato a Bruxelles per il 13 luglio prossimo, sarebbe importante che rappresentasse almeno tutte le perplessità manifestate dalle diverse commissioni parlamentari che si sono espresse sul TTIP. Al momento, però, il testo le evita tutte, proponendo un pieno supporto all’operato della Commissione.
Chiaramente la manovra non ha convinto nessuno degli oppositori del TTIP in Europa, a partire dall’Italia, dove lunedì 22 giugno arriverà la Commissaria al Commercio Cecilia Malmström, ospite del ministero dello Sviluppo Economico insieme alla parlamentare renziana e supporter del TTIP Alessia Mosca e ai rappresentanti degli industriali della moda, tra i pochi che potrebbero guadagnarci dal TTIP, in un incontro per pochi eletti all’ambasciata inglese. Ci si prepara a rafforzare le pressioni, le azioni di comunicazione e di lobby per bloccare la strada di questo ennesimo regalo a pochi interessati, alle spese delle nostre tasche e dei nostri diritti.