Lussemburgo – Se serve, ricorrere anche al carcere. L’idea è di quelle che farà certamente discutere, ma è quella contenuta nella lettera che il commissario europeo per gli Affari interni e la Migrazione, Dimitris Avramopoulos, ha inviato agli Stati membri dell’Ue in vista della riunione ministeriale di ieri in Lussemburgo. Nel documento, datato 9 giugno, il commissario fa fermo il principio dell’espulsione dei migranti irregolari e, in tale ottica e “dove necessario”, l’Ue può immaginare di sistemarli nei centri di detenzione in vista di un loro rimpatrio. La premessa è che “uno dei principali incentivi all’immigrazione irregolare è la consapevolezza di un sistema europeo di rimpatrio non sufficientemente rapido né efficiente”. Con la necessità di una sempre più urgente “politica dei rimpatri efficace” e la consapevolezza del bisogno di “impegni per l’aumento del tasso di rimpatri”, Avramopoulos immagina che “per assicurarsi che i migranti irregolari siano effettivamente rimpatriati, si dovrebbe ricorre all’incarcerazione, come una legittima misura di ultima istanza, laddove sia necessario impedire che gli illegali prendano il largo”.
Carcere come “ultima istanza”, ma pur sempre un’ipotesi da non scartare. Linea ferma contro i migranti irregolari, che porrà immediatamente la questione del come distinguere tra migranti regolari e irregolari. Qui una risposta sembra prendere corpo attraverso la proposta di compromesso dei Paesi Ue sull’agenda per l’immigrazione, in base alla quale chi ha i requisiti per chiedere asilo resta, e chi no viene rispedito da dove è arrivato. Ma pone anche il problema dei ‘sans papiers’, quanti arrivano senza documenti e vanno identificati. Dove rimandare chi non ha nazionalità dichiarata e difficile da verificare? Avramopoulos non sembra curarsene. La lettera ribadisce che l’efficacia del sistema europeo per il rimpatrio dei clandestini “deve essere rafforzato”, e il commissario per l’Immigrazione sostiene di voler “esplorare tutte le opzioni possibili” in tal senso.
Il carcere è una di queste opzioni. Poi si rilancia la strategia di collaborazione con i Paesi terzi – non solo quelli di partenza del nord Africa, ma soprattutto quelli dell’Africa subsahariana – al fine di ridurre il numero delle partenza e garantire il maggior numero di ritorni, visto che “spesso i Paesi natali dei migranti irregolari non cooperano nel processo di riammissione dei loro connazionali”.