Bruxelles – In Grecia “la situazione è drammatica”, soprattutto “se si guarda alla disoccupazione giovanile e alla situazione del mercato del lavoro”. E’ per questo che adesso più che mai “serve un accordo che garantisca crescita ed equità sociale”, e se da una parte è vero che rispetto alla prima crisi del 2008 la zona Euro è meno esposta e più in grado di reggere l’impatto di una eventuale ‘Grexit’, dall’altra parte però un default ellenico “ci farebbe entrare in un terreno sconosciuto”. Questa l’analisi fornita dal presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, nel corso del dialogo economico con il Parlamento europeo. “Ci può essere un accordo forte dove crescita ed equità sociale vanno di pari passo, ma la palla è tra i piedi dei greci”, dice Draghi in audizione in commissione Affari economici. Certo, “entrambe le parti sono invitate a fare uso della loro capacità di compromesso”. Bisogna dunque fare in fretta. “Al momento le banche greche sono solvibili”, ma l’incertezza e l’assenza di un accordo possono mutare scenario da un momento all’altro.
Draghi riceve critiche dall’Efdd, con Marco Valli (M5S) che tiene a precisare al capo dell’Eurotower che Atene “rischia il default per un miliardo, quando la Bce di miliardi ne ha spesi 1,3 per la nuova sede” di Francoforte. Lo stesso Draghi viene poi accusato di non aver previsto il Quantitative Easing (la vasta operazione di titoli di stato dei Paesi dell’Eurozona) per la Grecia. Il perchè è tecnico e giuridico. La Bce, premette Draghi, “agisce nel rispetto di regole, che sono pre-esistenti e non modificabili a seconda delle circostanze”. In base alle regole, “non acquistiamo titoli di Paesi sotto sorveglianza del Fmi e la cui valutazione non è conclusa”. Sempre in base alla regole “non acquistiamo titoli di Paesi al di sotto di certi rating, ed è sempre stato così”. Dunque nessuno ha considerato né considera la Grecia un partner di ‘serie B’. A riprova di questo il numero uno dell’Eurotower ricorda come la Bce abbia garantito alla Grecia liquidità per 118 miliardi di Euro, pari a circa il 66% del Pil della Grecia, “il livello più alto di qualsiasi altro Paese”.
Qualunque cosa succede dovrà succedere a livello politico. La Bce, sottolinea più volte Draghi nel corso dell’audizione, “non è un’istituzione politica”, il che vuol dire che “spetta all’Eurogruppo decidere eventuali esborsi e non alle banche centrali”. Giovedì a Lussemburgo “abbiamo bisogno di un forte accordo con la Grecia”, un accordo – sottolinea ancora Draghi – che “produca la crescita, garantisca la competitività, che affronti le cause di instabilità”. Un accordo siffatto con Atene “è necessario, e non solo per la Grecia”. Da qui l’appello a tutte le parti in causa per un compromesso.