Bruxelles – Fra i suoi confini comunali ospita poco più di 4 mila abitanti, ma all’interno del suo spazio accoglie 400 milioni di persone. Dal 1985 Schengen ha smesso di essere soltanto un paesino del Lussemburgo ed è diventato sinonimo di una delle più grandi conquiste dell’Unione europea insieme alla moneta unica: l’abolizione delle frontiere interne. Esattamente 30 anni fa, il comune al confine fra Lussemburgo, Francia e Germania venne simbolicamente scelto dai governi di questi tre Paesi, più Paesi Bassi e Belgio, per la firma dei trattati che nel giro di dieci anni avrebbero reso i controlli transfrontalieri solo un vago ricordo. Oggi, grazie a quegli accordi, i cittadini europei effettuano ogni anno 1,25 miliardi di viaggi all’interno dello spazio Schengen, del quale fanno parte 26 Paesi. Fra gli Stati dell’Unione europea, solo Regno Unito, Irlanda, Romania, Bulgaria, Croazia e Cipro hanno deciso di non fare (ancora, in alcuni casi) parte dell’area, mentre Islanda, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein, pur non appartenendo all’Ue, ne sono membri. A questi 26 Paesi vanno poi aggiunti tre microstati che possono essere considerati come membri “di fatto” dell’area perché non prevedono controlli frontalieri: Città del Vaticano, San Marino e Principato di Monaco.
L’Italia si è aggiunta al gruppo Schengen nel novembre 1990, ma ci sono voluti sette anni prima che i suoi confini diventassero solamente una linea nera sulle cartine geografiche. Oggi l’intera area è delimitata da 42.673 km di frontiere marittime e 7.721 km di frontiere terrestri, ma, al di là dei numeri, Schengen racconta la storia di successo di una cooperazione fra Paesi che ha reso la libertà di circolazione all’interno dell’Europa una realtà. Eppure, mai come in questi giorni la sopravvivenza degli accordi sembra essere minacciata. Per fronteggiare l’emergenza migratoria e per combattere la minaccia terroristica, sono in molti a chiedere che vengano rivisti i testi dei trattati o che vengano addirittura sospesi.
La cancellazione delle frontiere interne, in realtà, sarebbe dovuta andare di pari passo con la condivisione delle responsabilità su quelle esterne, “al fine di garantire la sicurezza all’interno dello spazio Schengen”. Le frontiere esterne dovrebbero poi “rimanere aperte per chi è spinto da ragioni professionali o chi è in fuga da guerre e persecuzioni”. Ma alle parole non sempre seguono i fatti. E davanti a una possibile uscita della Grecia dall’euro, c’è chi già profetizza che se tale evento dovesse realizzarsi il prossimo passo sarà la fine dello spazio Schengen. Il piccolo comune del Lussemburgo tornerebbe così a essere solo un paese circondato da frontiere, e a pagarne le spese sarebbero 400 milioni di persone.