Bruxelles – Sono giorni in cui si dovrebbero cominciare a tirare le fila e invece è ancora tutto all’aria. Se non suonasse di cattivo gusto, il modo migliore per descrivere la discussione sul meccanismo di ricollocazione dei migranti proposto dalla Commissione europea sarebbe: completamente in alto mare e a serio rischio affondamento. L’idea di essere “obbligati” ad accogliere una parte dei 40 mila migranti sbarcati in Italia e Grecia non piace a molte capitali che non sembrano pronte a mollare l’osso nemmeno ora che l’esecutivo Juncker ha messo il tema sul tavolo costringendo ogni Stato ad un’aperta presa di posizione. A pochi giorni dalla prima riunione politica sul tema, prevista martedì a Lussemburgo, dove si incontreranno i ministri degli Interni Ue, ci sono ancora ben dieci delegazioni completamente contrarie al principio di redistribuzione. A guidare la lotta i Paesi dell’Est e le repubbliche baltiche che però si trovano tutt’altro che isolati. Del fronte del no farebbero parte: Spagna, Portogallo, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Bulgaria, Romania, Repubblica Ceca e Slovacchia. Tutti premono per un sistema volontario, che lasci ai governi la possibilità di decidere se e come venire incontro ai problemi di Italia e Grecia. Ma la Commissione non sembra pronta ad aperture in questa direzione: accontentarsi di un sistema volontario per tentare di recuperare il consenso degli Stati non è un’ipotesi all’orizzonte, assicurano dall’esecutivo comunitario. E anche pubblicamente, il portavoce di Jean-Claude Juncker lo ripete quasi quotidianamente: “Difenderemo la nostra proposta fino all’ultima parola”.
Oltre ai nettamente contrari, c’è anche una fronda di Paesi che potrebbero accettare una redistribuzione obbligatoria ma che criticano i criteri alla base del meccanismo e cioè il peso relativo delle varie voci prese in esame: popolazione e Pil (che valgono per i 40% l’uno) e disoccupazione e sforzi già effettuati (che valgono solo il 10% ciascuno). I capofila di questo secondo gruppo sarebbero Francia e Germania, che chiedono, tra le altre cose, di considerare il “criterio storico”, e cioè quanto fatto nel corso del tempo. Tradotto: visto che fino a oggi Francia e Germania hanno dato il maggior contributo da un punto di vista di accoglienza e asilo, ora tocca a gli altri farsi avanti.
D’accordo, ma a condizione di rivedere alcuni parametri per la ripartizione, anche i Paesi del Benelux, Finlandia e Austria. “La solidarietà va di pari passo con la responsabilità” sarebbe un altro leit motiv di questa fazione: e cioè si aiutino pure Italia e Grecia ma questi Paesi, dal canto loro, devono garantire di adempiere tutti gli obblighi legali sulla registrazione dei migranti e sulla raccolta delle loro impronte digitali, per evitare che, in violazione del regolamento di Dublino III, si rechino poi un un altro Stato membro a chiedere asilo politico o comunque in cerca di lavoro.
Chi non si scaglia contro il principio ha comunque perplessità tecniche. Ad esempio, fino a che punto, sotto l’aspetto legale, si può obbligare un migrante che rientri nel progetto di ricollocazione, ad andare in uno Stato in cui non voglia andare? Come si può verificare, visto che il meccanismo immaginato dalla Commissione Ue riguarda solo eritrei e somali, che i rifugiati siano davvero di queste nazionalità e non lo dichiarino solo per potere godere del diritto di asilo? Come si riuscirà, una volta trasferito il migrante, a controllare che questo rimanga nel Paese a cui è stato assegnato in un’area Schengen priva di frontiere?
Insomma, “la situazione è difficile” non nascondono fonti Ue. Considerando che la partita si giocherà a 25, visto che Danimarca, Regno Unito e Irlanda godono dell’opt out, gli Stati contrari o con riserve sono troppi perché la proposta possa essere approvata a maggioranza qualificata dal Consiglio. Sembra anzi sempre più probabile che possa materializzarsi una minoranza di blocco in grado di fermare tutto. La riunione dei ministri degli Interni dei Paesi Ue di martedì prossimo a Lussemburgo, Paese con la presidenza di turno, non prevede decisioni né conclusioni. Un bene, visto il clima. Ma il tutto sarà rimandato solo di pochi giorni, al Consiglio europeo di 25-26 giugno dove il tema sarà sul tavolo a livello di capi di Stato. Difficile che per allora possa essere raggiunto un accordo su tutti questi aspetti. Sembra dunque ormai scontato che il tutto dovrà, per lo meno, slittare in avanti, lasciando Italia e Grecia a se stesse in un periodo estivo in cui gli sbarchi sono praticamente quotidiani. Ma a questo punto un ritardo pare davvero l’ipotesi più ottimistica.
(Ha collaborato Emanuele Bonini)