Roma – C’è un rischio “non trascurabile” di “incoerenza tra i risultati imposti nel breve termine” dall’Ue – aumento dello sforzo fiscale per rispettare le regole del Fiscal compact – e “la sostenibilità di lungo periodo” dei conti dello Stato. E’ quanto scrive la Corte dei conti italiana nel Rapporto 2015 sul coordinamento della finanza pubblica. I magistrati contabili imputano questo pericolo a “un’interpretazione troppo rigida del modello di sorveglianza europeo” sulle finanze statali, ma allo stesso tempo riconoscono che “l’adozione da parte della Commissione europea, a inizio d’anno, di nuove linee guida che consentono un’attuazione più flessibile del Patto di stabilità, si muove nella direzione di scongiurare un simile rischio”.
Consentire all’Italia di deviare temporaneamente dagli obiettivi di medio termine, in virtù della recessione economica e dell’avviato percorso di riforme strutturali, secondo la Corte è stato dunque un toccasana per l’economia del Paese, come dimostra l’aumento dello 0,3% del Pil registrato nel primo trimestre 2015, che “conferma il passaggio a una fase espansiva del ciclo economico”. L’inversione, secondo il rapporto, ha trovato “un impulso decisivo” nel Quantitative easing avviato dalla Bce, che allo stesso tempo ha “ha contribuito a riportare a livelli fisiologici i differenziali di rendimento sui titoli del debito sovrano”.
La politica monetaria della Banca centrale europea, insieme con le favorevoli condizioni macroeconomiche – basso prezzo del petrolio e rapporto euro/dollaro favorevole alle esportazioni – e con il “ripensamento, che non poteva non aver luogo, sulla rigidità con cui interpretare gli obiettivi di saldo strutturale”, sostiene la Corte, sono tutti elementi che contribuiscono a rendere “elevate” le probabilità di raggiungere gli obiettivi di crescita indicati dal governo nel Def (+0,7% nel 2015 e +1,3 il prossimo anno).
Tuttavia, si legge ancora nel documento, “le condizioni di sostenibilità di lungo periodo della finanza pubblica richiedono”, per il nostro Paese, “saggi di crescita del Pil e della produttività non inferiori all’1,5%”, oltre che “un ritorno della disoccupazione al tasso del 7%”.