Mentre le due auto corrono verso il burrone e i due piloti si sfidano l’un l’altro per chi ha più “coraggio” e si butta fuori all’ultimo momento, nel gruppo che osserva la demenziale sfida c’è sempre qualcuno magari un po’ brillo, che ride scompostamente. Tanto lui non è in nessuna delle due auto, probabilmente non è neanche il proprietario di uno dei mezzi, ma è solo un osservatore, al massimo ha scommesso su chi vincerà. Tutto sommato la gara riguarda il suo gruppo, forse tifa per uno dei due contendenti, ma è ben piantato con i piedi sul terreno, e non rischia nulla.
Quando una tragedia comincia ad avere gli aspetti della farsa qualcosa non funziona più, e bisogna provvedere in fretta. Ieri il capogruppo dei liberali al Parlamento europeo, il belga Guy Verhofstadt, per nove anni premier del suo paese e ora leader di un gruppo penalizzato alle elezioni e diviso al suo interno ha voluto fare una battuta, e in un tweet ha richiamato uno slogan, nato in Gran Bretagna negli anni della Seconda Guerra Mondiale che oramai si trova parafrasato ovunque, su tazze e mutande: “Keep calm and carry on”, era la sua versione originale, oramai diventata stranota, e anche banale. Noi abbiamo una frase simile sulla batteria d’emergenza per il telefonino. Verhofstadt, in cerca di una visibilità politica che ha perso in questo nuovo Parlamento europeo ieri ha twittato “Keep calm and reform Greece”, rivolgendosi al ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, il quale, con flemma, gli ha risposto che è proprio quello che la Grecia vuol fare, ma non può farlo se viene imposta un’austerità insostenibile.
@GuyVerhofstadt This is precisely what we ask for: An opportunity to reform deeply. Which cannot be done under even greater austerity…
— Yanis Varoufakis (@yanisvaroufakis) June 9, 2015
Il confronto tra la Grecia e i suoi creditori, secondo la metafora usata qualche giorno fa da EUNEWS e che ora vediamo utilizzata anche da altri giornali, sembra diventare proprio una gara a chi molla per ultimo. I creditori non possono, non vogliono cedere perché, dicono, gli altri Paesi che sono stati sotto programma di salvataggio hanno fatto il loro dovere, i loro sacrifici, e non possiamo mostrare loro cedimenti o favoritismi verso altri. Atene risponde che la situazione greca è ben diversa da quella che era del Portogallo o dell’Irlanda, e che le misure devono dunque essere diverse. Ci sono ragioni in tutte e due le parti, è vero quel che dice il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker che se ci sono delle regole, che i governi greci precedenti hanno accettato, vanno rispettate; ma ha ragione anche il premier Alexis Tsipras nel dire che verso la Grecia le imposizioni sono state molto più drastiche e poggiate su un tessuto economico e politico molto più sfilacciato e fragile (reso anche fragile da alcuni creditori) che in altri Paesi.
Alcune cose sono però evidenti a tutti: la Grecia non è, non sarà mai in grado (almeno nei tempi di una o due generazioni) di ripagare il debito, a prescindere da come sia stato accumulato; le riforme in parte sono state fatte, altre è vero che ritardano, ma è anche vero che un Paese non può cambiare decenni di storia di corrotto malgoverno in pochi mesi. I giovani non hanno lavoro, negli ospedali si riciclano siringhe e provette, mancano le medicine, i ricchi veri, perché quelli ci sono anche in Grecia, remano contro e portano all’estero i loro soldi. Tsipras ha vinto le elezioni con un programma, diciamo, molto ambizioso, in questi mesi ha fatto molti passi indietro e non ha saputo crearsi un’immagine di bravo negoziatore. O forse ha proprio scelto di andare al muro contro muro, di arrivare a tirare la corda fin quando possibile sapendo (o sperando) che i partner dell’euro tenteranno in ogni modo di evitare un’uscita della Grecia dalla moneta unica. Potrebbe riuscire nel suo intento, ma prima o poi i creditori gliela faranno pagare, in termini di chiusura dei mercati, di sostanziale marginalizzazione nei consessi internazionali, Unione europea compresa. I creditori invece spingono per nuovi tagli, per la crescita dell’avanzo primario (che vuol dire che Atene deve incassare più tasse di quanti soldi spenderà). Non è sbagliato pretendere che si spenda meno di quanto si incassi.
Il problema però è: come fanno i greci a pagare le tasse se non producono ricchezza? Non possono, punto. E allora la soluzione possibile è una sola, come ben scrive Alessandro Guerani sul Sole 24 Ore: congelare, rinegoziare i debiti pregressi, cercare di fare arrivare nuovi capitali per investimenti (tipo il piano di Varoufakis tramite la BEI) che piano piano rendano davvero competitiva l’economia greca mantenendo comunque un controllo sui redditi e sul fisco molto migliore che nel passato.
Tempo e ragionevolezza. Da tutte e due le parti, il che vorrebbe dire che la cancelliera Angela Merkel, che probabilmente si sta davvero impegnando per trovare una soluzione accettabile, dovrà accettare che un paese sotto programma per la prima volta possa iniziare un cammino verso la ripresa senza che il governo in carica (di sinistra o centro-sinistra) sia sostituito da un governo popolare (inteso come del Ppe o vicino ad esso), come ha imposto in tutti i casi precedenti di salvataggio. Ma vuol dire che anche Atene deve mostrarsi credibile verso i creditori e gli investitori, perché in fondo è vero che, anche se sfruttata e diventata terreno di conquista da parte di banche europee alle quali in qualche modo nel passato si è offerta, molto nel sistema ellenico non funzionava e non funziona ancora.