Roma – “L’Europa ha fatto un passo politico importante” con la presentazione di un’Agenda per le migrazioni da parte della Commissione Ue. Lo sottolinea l’eurodeputata Cécile Kyenge, relatrice del rapporto di iniziativa del Parlamento di Strasburgo sull’immigrazione, intervenendo a una conferenza stampa dei sindacati europei sull’emergenza del Mediterraneo. Tuttavia, prosegue Kyenge, “ci sono dei passaggi sui quali dobbiamo lavorare di più”. Il principale “è la ricollocazione” dei richiedenti asilo, indica.
Secondo l’esponente del gruppo S&D, è necessario “prevedere una cifra variabile e non fissa” di rifugiati da accogliere. Stabilire “il numero di 40 mila”, come fa la proposta in discussione, è un errore perché “non è detto che ogni anno avremo un numero stabilito” di richieste d’accoglienza, fa notare la deputata, la quale ritiene inoltre che si debba “uscire dalla logica della nazionalità di provenienza” dei richiedenti asilo, perché non sono solo i siriani e gli eritrei – le due nazionalità che l’Ue è più disposta ad accogliere – a vivere in contesti critici.
Luca Visentini, segretario generale designato della Confederazione europea dei sindacati, ha rivendicato alla sua organizzazione il merito di aver condotto “un negoziato culturale con le istituzioni europee” in materia di immigrazione, ed è convinto che l’Agenda della Commissione ne sia in parte il frutto. Il sindacalista si è detto “preoccupato dall’atteggiamento dei governi di Francia, Gran Bretagna e Spagna”, i quali “non hanno bocciato completamente la proposta della Commmisione, ma mostrano una volontà di negoziare in peggio” le modifiche da apportare.
Poi, invitando a guardare ai richiedenti asilo in una ottica più ampia, Visentini ha sottolineato come siano “condannati a vivere nell’illegalità”. Nel periodo che intercorre tra la richiesta di asilo e il riconoscimento dello status di rifugiato, denuncia, “anche se trovassero un imprenditore disposto ad assumerli, non avrebbero titolo giuridico per poter lavorare”. Una condizione che “in alcuni Paesi è più sopportabile perché l’iter dura intorno ai tre mesi, ha aggiunto, “mentre in Italia a volte passa oltre un anno”.