Bruxelles – Il semestre di presidenza lussemburghese del Consiglio Ue deve rappresentare il momento di svolta delle politiche europee in materia di contrasto alla disoccupazione e rilancio di un mercato del lavoro ancora fortemente inceppato. Lussemburgo, che inizierà il suo turno alla guide delll’Ue a partire da luglio dopo la fine della presidenza lettone, ha fatto di questo una priorità, ma le cose rischiano di andare diversamente. Il dossier britannico e il problema dell’immigrazione, unito all’assenza di chiarezza della Commissione europea sul pacchetto mobilità, rischiano di segnare in modo nefasto il 2015 dell’Ue. Manca un mese al passaggio di consegne, eppure – rivelano fonti comunitarie – i timori in casa Lussemburgo non mancano. Il piccolo Granducato intende far vedere che l’Europa lavora, sta dalla parte dei cittadini, sa davvero costruire una dimensione sociale inclusiva e garantire una ripresa durevole. Vuole, in sostanza, spezzare il legame tra malcontento ed euroscettismo. Ma la strada è in salita.
In primo luogo le politiche occupazionali le fanno gli Stati membri. A Bruxelles si possono organizzare tavole rotonde e dibattiti, ma è nelle ventotto capitali che ciascuno deve prendere le decisioni e attuarle. Questo, a Lussemburgo, lo sanno bene. Il calendario è ancora in via di definizione, ma per ora l’agenda prevede un momento di incontro al mese: la riunione informale del consiglio Lavoro il 17 luglio, la conferenza sul lavoro a settembre, una conferenza sulle competenze digitali (probabilmente a ottobre), la conferenza sulle imprese sociali a dicembre. In mezzo (una data definita ancora non c’è) la conferenza sul Ttip – l’accordo di libero scambio con gli Stati Uniti – voluta dal primo ministro Xavier Bettel per discutere anche delle possibili implicazioni per il mercato del lavoro europeo di un simile accordo. Si vuole tenere alta l’attenzione sul tema mentre in Consiglio due saranno i temi su cui il Lussemburgo intende registrare progressi: la piattaforma per il constrasto al lavoro nero, e il sistema Eures per la cooperazione tra i servizi nazionali all’occupazione. L’obiettivo è arrivare ad un’approvazione in prima lettura.
L’impegno c’è, ma gravano tre grandi incognite: Commissione europea, Regno Unito, immigrazione. L’esecutivo comunitario sta ritardando l’adozione del pacchetto mobilità, post-ponendolo di continuo. A quanto pare i lussemburghesi non sanno dire quando la Commissione potrà presentarlo. L’auspicio è per settembre, ma ci sono timori che il pacchetto arrivi per novembre. Un’ipotesi sciagurata, perchè – rilevano fonti diplomatiche – se la proposta dovesse davvero arrivare a novembre non ci sarebbe tempo per lavorarci. In secondo luogo, confidano a Bruxelles, la prossima presidenza di turno sa perfettamente che lo stesso pacchetto “sarà influenzato dalla questione britannica”. Essendo il tema molto sensibile, si ha paura che una pressione eccessiva possa essere usata in chiave anti-Ue in vista del referendum. C’è poi la terza incognita che grava, ma non solo sulla presidenza lussemburghese: l’immigrazione. Si teme che dal Mediterraneo arrivi forza di lavoro ad acuire il fenomeno del “dumping sociale”, forza lavoro disposta a percepire meno per le stesse mansioni svolte dagli europei con busta paga più pesante. L’idea è di affrontare il tema attraverso un lavoro trasversale con gli altri ministri competenti (Affari esteri e Affari interni in particolare). La sfida non è di quelle semplici, visto che nel tema dell’immigrazione si annidano alcune delle divisioni dell’Ue e alcune componenti del sentimento euroscettico che il semestre lussemburghese vorrebbe affrontare. I prossimi sei mesi, dunque, si annunciano turbolenti. E si tratta solo di una minima parte dell’agenda politica.