Bruxelles – “Prima il vento soffiava in direzione contraria, poi hanno liberato in aria i palloncini e questi sono finiti proprio sopra la curva Z, quella della tragedia. Non so se sia stato casuale, ma mi ha fatto commuovere”. Le parole di Sergio Brio, storico difensore della Juventus, riassumono bene l’atmosfera che si respirava questa mattina all’Heysel di Bruxelles. Davanti a quella struttura, che oggi si chiama stadio “Re Baldovino”, una targa ricorda i nomi delle 39 vittime che esattamente 30 anni fa, il 29 maggio 1985, morirono nella strage che cambiò il mondo del calcio. Quei nomi, quattro belgi, due francesi, un irlandese e trentadue italiani, questa mattina sono stati letti uno per uno nell’anniversario della tragedia.
Presenti alla cerimonia, insieme a diversi tifosi, il vice-sindaco di Bruxelles, Alain Courtois, l’ambasciatore della Gran Bretagna, Alison Rose, l’ambasciatore italiano in Belgio, Alfredo Bastianelli, il dirigente della Juventus Paolo Garimberti, e l’ex calciatore Brio, che quella finale di Coppa dei Campioni la visse da protagonista. Nonostante i 39 morti e i 600 feriti, infatti, lo sport non si fermò e la partita si giocò. Vinse la Juventus, che in quel giorno si portò a casa per la prima volta la coppa dalle grandi orecchie. “Se non avessimo giocato, tutti i tifosi sarebbero usciti fuori e ci sarebbero stati degli scontri – ha spiegato Brio -. Credo che quella partita sia stata vera perché in campo ce le siamo date di santa ragione. Qualsiasi cosa si fosse fatta, non sarebbe andata bene. Questa è la verità”. “La cerimonia nella sua semplicità è stata estremamente toccante – ha commentato Paolo Garimberti -. Bisogna dire grazie alla città di Bruxelles per aver organizzato questo evento. Certo, il fatto di essere in finale esattamente 30 anni dopo in qualche modo ci carica di una responsabilità anche morale. È un modo per ricordare e ravvivare la memoria delle 39 vittime da un lato, e per onorarla se riusciremo anche a conseguire un risultato sportivamente importante. È fondamentale che i giocatori della Juventus di oggi, nonostante la giovane età, dentro i loro cuori sappiano che giocano anche per le vittime dell’Heysel”. “Lo sport serve anche a rafforzare sentimenti di amicizia e fratellanza” è stato il commento dell’ambasciatore Bastianelli.
Ma questa mattina, insieme alle autorità e ad alcuni tifosi di diverse squadre italiane, c’era anche chi trent’anni fa si trovava proprio sulle tribune dello stadio. “Avevo undici anni ed ero venuto qui con i miei genitori” ha raccontato Romolo Putsu, italiano nato a Bruxelles che quel giorno avrebbe dovuto seguire la partita dalla curva Z insieme a un gruppo di 15 juventini arrivati da Milano. “Siccome ero un ragazzino, però, mio padre ha preferito scambiare il mio biglietto con quello di un suo amico e io mi sono spostato nel settore M – ha spiegato il testimone -. Fortunatamente quell’amico è sopravvissuto, ma noi non ci siamo resi conto di quello che era successo fino alle due di notte, quando la polizia ci ha consentito di lasciare lo stadio. Nessuno sapeva che c’erano stati dei morti”. “Abbiamo festeggiato per la vittoria e oggi mi vergogno molto di averlo fatto – ha continuato un altro testimone, Domenico Di Bernardo, abruzzese trapiantato in Belgio -. Sapevamo che gli inglesi avevano caricato, ma non avevamo realizzato la gravità dell’episodio”.
Una cerimonia analoga a quella di Bruxelles si è svolta a Liverpool, dove a rappresentare la Juventus c’erano gli ex calciatori Gianluca Pessotto e Massimo Bonini, mentre questa sera, a Torino, le 39 vittime verranno ricordate durante una messa alla quale parteciperanno i giocatori della Juventus di oggi e del passato.