Bruxelles – Possono avere una “aspirazione europea” ma guai a parlare di una loro chiara “prospettiva europea”. È un risultato a metà quello che i partner orientali dell’Ue portano a casa dopo il summit del partenariato orientale svoltosi a Riga. Un appuntamento durante cui l’Unione, come sottolinea il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, conferma un “impegno forte e continuo verso i Paesi partner dell’Est” ma durante il quale si tiene anche a sottolineare che “nessuno ha promesso che l’eastern partnership è un processo automatico verso l’ingresso nell’Ue”. Per mettere tutti d’accordo, dopo una discussione definita dallo stesso Tusk “dura”, la dichiarazione finale sottoscritta dai partecipanti deve infatti essere rivista al ribasso: se la bozza di partenza riconosceva a Ucraina, Georgia e Moldavia una “prospettiva europea”, a fine vertice ci si accontenta di parlare di semplici “aspirazioni europee”. “Non promettiamo mai abbastanza rispetto alle attese dei Paesi”, ammette Tusk, specificando però che se “il linguaggio è importante in politica, i fatti sono più importanti delle parole contenute nella dichiarazione finale” e “nelle nostre intenzioni – assicura – nulla è cambiato”. Insomma nonostante le “difficoltà nel drafting”, “questo livello di ambizione – dice – era il massimo che potevamo raggiungere”, viste “le circostanze geopolitiche nella regione”.
Circostanze che includono soprattutto le tensioni con la Russia che nessuno in questo momento vuole irritare. Tanto che c’è da discutere anche al momento di includere nella dichiarazione la condanna contro l’annessione “illegale” della Crimea. Ad Armenia e Bielorussia, che hanno con Mosca rapporti economici molto stretti e fanno parte dell’Unione eurasiatica guidata proprio dalla Russia, l’idea non piace e dunque si finisce per limitarsi a dire che “l’Ue conferma la sua posizione” sull’annessione “illegale della Crimea”.
Poco di fatto anche sulla liberalizzazione dei visti. Ucraina e Georgia avrebbero voluto garanzie sulla possibilità di partire già dal 2016 che non sono arrivate. Tusk si definisce comunque “molto ottimista” perché “tutti i primi ministri e i presidenti dei Paesi hanno insistito sull’importanza di questa procedura di liberalizzazione dei visti e credo che l’ambiente politico verso questo dossier sia responsabile”. Georgia e Ucraina, aggiunge il presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker “hanno fatto enormi progressi in questi ultimi mesi” e anche se ci sono “elementi su cui dovrebbero farne di più”, io “sono molto ottimista per la liberalizzazione dei visti sia per l’Ucraina che per la Georgia”.
Insomma chi si aspettava risultati eclatanti rimarrà senza dubbio deluso ma questo è normale perché “questo è il primo vertice di una nuova era per il partenariato orientale”, un’era fatta di “relazioni normali di lavoro”, spiega l’Alto rappresentante per la politica estera Ue, Federica Mogherini. “Può non essere sensazionale – dice – ma va a beneficio della nostra gente ed è su questo che stiamo lavorando” aggiunge Mogherini. “L’importante è che il processo vada avanti con gradualità, a velocità diversa nei diversi Paesi”, fa eco il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni che tiene a sottolineare che il processo “non è rivolto contro nessuno, si difende la sovranità dei nostri vicini ma non si intende il partenariato orientale come una sfida contro la Russia”.
“Il partenariato orientale, sottolinea anche Gengilioni “non è l’allargamento: non dobbiamo immaginare che ci sono nuovi sei Paesi che entreranno nell’Unione tra un paio d’anni, perché non è così”. Lo stesso concetto che aveva voluto evidenziare anche Merkel arrivando al summit: “Non è uno strumento per l’allargamento dell’Unione europea – aveva ricordato – ma uno strumento per l’avvicinamento con l’Unione europea”.