di Thomas Fazi @battleforeurope
Da mesi la Grecia sta tentando, senza fortuna, di raggiungere un accordo con i creditori per un alleggerimento del debito. Se da un lato questo è senz’altro colpa dell’intransigenza dei creditori, dall’altro è anche colpa del governo greco, che si è illuso, piuttosto ingenuamente, di poter ottenere un accordo soddisfacente in sede di negoziato. Si tratta però di un obiettivo quasi impossibile, dice Wolfgang Münchau: sul versante dei creditori, esistono ostacoli politici e legali insormontabili che rendono molto difficile il raggiungimento di un accordo consensuale. A questo punto, sostiene l’editorialista del Financial Times, “la Grecia dovrebbe dichiarare unilateralmente default, ma farlo in maniera cooperativa”. Il che vuol dire: non fare default più di quanto non sia necessario; non fare default nei confronti di tutti i creditori ma solo di quelli che sono in grado di assorbire le perdite; e, infine, risparmiare i pochi creditori privati che sono rimasti. Il che vuol dire che la scelta ricade sui tre creditori ufficiali, che comunque detengono il grosso del debito: gli altri membri dell’eurozona (attraverso il fondo salva-Stati), l’FMI e la BCE.
Dal punto di vista politico, dichiarare unilateralmente default nei confronti degli altri Stati dell’Unione, quando la tensione tra Grecia ed Eurogruppo è già alle stelle, decreterebbe quasi senz’altro l’espulsione della Grecia dall’unione monetaria (a prescindere dalla volontà della Merkel, che a quanto si dice sarebbe ancora decisa a tenere Atene dentro). Altrettanto azzardato sarebbe un eventuale default nei confronti dell’FMI (anche se Varoufakis ha dichiarato, in riferimento alla prossima rata di rimborso al Fondo, in scadenza il 5 giugno: “Preferiamo pagare un pensionato rispetto a un creditore”). Nessun paese sviluppato è mai arrivato a questo: il Peru di Alan Garcia – lo Tsipras del suo tempo – fece default negli anni ottanta e poi disse che era stato il peggiore errore mai compiuto.
Rimane dunque la BCE, a cui la Grecia da qui a settembre deve all’incirca 7 miliardi di euro. Paradossalmente – ed ecco spiegato il perché di un default unilaterale – per la BCE sarebbe illegale partecipare a una ristrutturazione anche solo parziale del debito (a prescindere dalla volontà di Draghi), mentre non vi è nulla, da un punto di vista legale, che impedisce alla Grecia di fare default nei confronti della BCE. In altre parole: un default unilaterale e totale sarebbe legale; un default negoziato e parziale no.
Finanziariamente, la mossa non avrebbe particolari conseguenze per la BCE (anche se c’è chi ha sollevato il problema della montagna di derivati che hanno come collaterale sottostante proprio i titoli di Stato greci acquistati dalla BCE). Le banche centrali non sono come le banche commerciali, infatti; anche se il valore di una parte degli attivi che una banca centrale detiene sul proprio bilancio dovesse diminuire, essa non corre alcun rischio di diventare insolvente poiché detiene il privilegio di potersi ricapitalizzare da sola. E comunque potrebbe tranquillamente operare anche a capitale negativo. Come spiega Paul De Grauwe:
Una banca centrale non può andare in default fintanto che ha il monopolio del potere di emettere moneta. Il denaro è il “debito” della banca centrale, ma la banca centrale può riscattare questo “debito” mediante l’emissione di denaro fresco, cioè trasformando una vecchia banconota in una nuova. Queste banconote non costituiscono un credito sui beni della banca centrale. Quindi la banca centrale non ha bisogno di capitale (a differenza delle aziende private). Può vivere perfettamente con capitale netto negativo.
Dal punto di vista politico, una decisione del genere avrebbe probabilmente ripercussioni pesanti ma gestibili (se non addirittura positive). Scrive Münchau:
Al principio i creditori sarebbero scioccati, ma gli passerebbe… Anzi: una certa dosa di unilateralismo illuminato potrebbe essere proprio quello che serve per uscire dall’impasse. Aiuterebbe i creditori ad affrontare le varie fasi dell’elaborazione del tutto, e ad uscire dalla fase in cui si trovano attualmente: la negazione della realtà. Se la transizione è gestita bene, i creditori potrebbero anche decidersi di offrire il loro sostegno per tenere in vita il sistema bancario greco, o almeno di permettere alla BCE di farlo. Sotto sotto, i leader dell’eurozona sanno che non è nel loro interesse permettere alla Grecia di abbandonare l’unione monetaria.
Uno “strappo” di questo tipo permetterebbe anche a Tsipras di riconquistarsi il favore dell’ala più radicale del partito, sempre più insofferente nei confronti dell’approccio “concertativo” del partito nei confronti dei creditori. È una scelta che comporta dei rischi ovviamente. Come nota Münchau – e come sottolinea Paul De Grauwe nell’intervista pubblicata sempre in questo numero – quello che conta è il dopo-default: ossia se la BCE sarà disposta o meno a sostenere il sistema bancario greco in caso di default (anche parziale), assicurando la permanenza della Grecia nella moneta unica a tutti i costi. O se invece il paese sarà lasciato al suo destino. È una decisione che ai massimi livelli quasi sicuramente è già stata presa. Tanto vale che Atene costringa Draghi a scoprire le proprie carte.