Bruxelles – Insiste per poter prendere parte al dibattito sulla situazione dei diritti civili nel suo Paese, si siede docile al suo posto in Aula, ascolta le critiche senza battere ciglio. Viktor Orban è venuto al Parlamento europeo per smentire le accuse che lo vogliono sostenitore di una reintroduzione della pena di morte? Niente affatto. Al momento di prendere la parola davanti agli eurodeputati riuniti in seduta plenaria, il premier ungherese è quello di sempre, che non si giustifica e non ritratta una virgola. Reintrodurre la pena di morte? “Non c’è nulla di scolpito nel marmo, le regole sono state fatte dagli uomini e dagli uomini possono essere modificate, questa è la democrazia”, gela chi si aspettava posizioni concilianti. Anzi, ribalta la prospettiva Orban, se c’è qualcuno da mettere sotto accusa semmai è proprio Bruxelles che sta “processando” l’Ungheria per un semplice dibattito: “Non vogliamo ci siano temi tabù di cui non si può parlare, c’è in gioco la libertà di espressione e di pensiero”, scandisce il leader di Fidesz. A non piacere ai Paesi Ue, secondo Orban, è il fatto che “l’Ungheria parla direttamente di questioni difficili senza menare il can per l’aia” e può anche non piacere ma, è convinto il premier ungherese, “i discorsi politicamente corretti non portano soluzioni e noi vogliamo parlare in maniera franca”.
E così, francamente, giù bordate anche sul nuovo pacchetto di misure proposte dall’esecutivo Ue sull’immigrazione: “Io sono fermamente convinto – non si fa scrupoli Orban – che la proposta della Commissione Ue è assurda e quasi malsana, non possiamo dire ‘apriamo le porte a tutti’”, ogni Paese “deve essere libero di decidere per sé e di difendere le proprie frontiere”. Inoltre “le quote rappresentano un incentivo, è come dire alle persone ‘ sì, venite’ e poi le problematiche saranno affrontate a livello nazionale”.
Sul tema, in questi giorni, il premier ungherese ha anche lanciato una consultazione sotto forma di questionario inviata a otto milioni di ungheresi, bersaglio di una pioggia di critiche da parte degli eurodeputati. Nel questionario, dall’eloquente titolo “immigrazione e terrorismo” compaiono domande come: “Alcuni pensano che i rifugiati minaccino l’esistenza e il lavoro degli ungheresi. Siete d’accordo?” oppure “accettereste che queste persone siano messe in prigione visto che attraversano illegalmente le frontiere?” o ancora “pensate che i richiedenti asilo debbano contribuire alle proprie spese di soggiorno in Ungheria?”. “Abbiamo voluto lanciare una consultazione perché per noi è giusto chiedere alle persone cosa pensano” ,spiega Orban, sottolineando: “Non ricordo di avere firmato accordi che dicono di cosa si può parlare” e ancora una volta “chi cerca di dirci quello di cui possiamo discutere sta violando il trattato fondatore”.
Duro, dall’altro lato, anche il vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans presente al dibattito in rappresentanza dell’esecutivo Ue. “Nessun mandato o vittoria elettorale – chiarisce – può consentire di cambiare lo stato di diritto in un Paese”, ricordando che “l’abolizione della pena di morte è una condizione che gli Stati membri devono soddisfare per diventare Stati membri del Consiglio d’Europa e dell’Ue”. Una sua reintroduzione, dunque, sarebbe “contraria ai valori dell’Ue” e “porterebbe all’applicazione dell’articolo 7” che protegge i valori fondamentali tutelati dall’articolo 2, come il rispetto dei diritti umani. “I Trattati non prevedono una sospensione o il ritiro dell’appartenenza di uno Stato membro all’Ue”, spiega ancora il vicepresidente, ma “la Commissione è pronta ad usare immediatamente tutti i mezzi a sua disposizione per assicurare che l’Ungheria, come ogni Stato membri, rispetti i suoi obblighi”. In caso l’Ungheria facesse passi verso la reintroduzione della pena di morte “non esiteremmo un secondo”, assicura Timmermans.
Tra i due interventi è una pioggia di commenti dagli eurodeputati di tutti gli schieramenti. In buona parte condanne ma non dal gruppo di appartenenza di Orban, il Partito popolare europeo, che anche davanti alla conferma di tutte le opinioni del premier ungherese, non accennano una presa di distanza, anzi, secondo il capogruppo Manfred Weber, il premier ungherese finisce nel mirino delle critiche di “molta sinistra” perché il suo Paese è una “locomotiva in Europa” per crescita economica e bassa disoccupazione e perché è stato confermato “con più del 50% dei consensi nel suo Paese”. Certo “una discussione sulla pena capitale è dannosa”, concede Weber, ma “sull’immigrazione i temi che solleva Orban vanno affrontati”. Sulla stessa linea i conservatori che accusano “la sinistra di questo Parlamento” di tentare di colpire Orban per guadagnare punti con l’elettorato e sottolinea: “Questo Parlamento non deve diventare giudice e giustiziere di chi ha idee diverse”.
Duri invece i socialisti con Gianni Pittella che paragona Orban a Silvio Berlusconi con la sua “sfilza improbabile di statement rapidamente ritrattati che hanno costantemente imbarazzato l’Italia e i suoi cittadini”. Il premier ungherese, dice, “ha superato il limite della decenza e la gravità delle sue affermazioni non può essere ignorata”. I liberali chiedono “urgentemente un meccanismo europeo per monitorare la democrazia e lo stato di diritto in tutti gli Stati Ue” e il Movimento Cinque Stelle concorda, sostenendo la necessità di “pretendere il rispetto dei diritti fondamentali non sono al momento dell’adesione ma anche ex post”. Secondo i Verdi “un’Unione bastata solo su interessi economici e non sulla tutela dei diritti fondamentali significa la fine dell’Unione”, mentre la Sinistra Unita Gue sprona la Commissione: “Dove vogliamo arrivare prima di reagire?”.