Parliamo di Matteo Renzi. E cominciamo con qualche citazione raccolta sulla grande stampa internazionale. Roger Cohen, columnist di razza del New York Times, reduce da un viaggio in Italia lo descrive come l’uomo che sta cercando di raddrizzare le troppe curve tortuose con cui gli italiani si complicano la vita. John Lloyd, commentatore autorevole sul Financial Times, in un’analisi sul panorama disastroso della sinistra europea dopo la sconfitta di Miliband in Gran Bretagna, scrive sul suo blog che Renzi è l’unica eccezione: l’autentico interprete di un New Labour centrista. Passiamo alla Reuters, rubrica BreakinViews: gli investitori istituzionali giocano finalmente un ruolo crescente nell’Italia del Primo Ministro Matteo Renzi. Sembra che Renzi goda di buona stampa sui media più letti dai grandi investitori di tutto il mondo. Una buona reputazione che si riflette nelle decisioni di investimento. BlackRock, il più grande investitore mondiale, ha detto di recente che vede in modo positivo il processo di riforme intrapreso da Renzi. Gli investitori non hanno partiti politici, non tifano ma pensano al rendimento. Aperture di credito che però scarseggiano in Italia, dove i media preferiscono dare spazio a chi alza la voce contro Renzi, anche se rappresenta il più corporativo degli interessi o utilizza argomenti che non stanno in piedi. Come gli studenti che nei giorni scorsi gridavano in piazza che la scuola è nostra e non si tocca. No ragazzi, la scuola è dei contribuenti che a fine mese pagano affitti e stipendi. Quando diventerete contribuenti anche voi ne riparliamo.
Ma proprio la riforma contestata della scuola offre lo spunto per una riflessione sullo stile di governo di Renzi. Negli ultimi 20 anni l’Italia è stata praticamente guidata affidandosi a una sola bussola: i sondaggi. Berlusconi, da buon venditore, si è affidato ciecamente ad essi lasciandosi guidare dagli umori prevalenti in ogni annuncio di decisione. Ma anche Prodi, perché vittima del ricatto di minoranze anche infime, ma vitali per far tornare in conti in Parlamento, e sempre pronte a rinnegare gli impegni presi nelle stanze di governo per accontentare le aspettative delle proprie nicchie elettorali. Gli insegnanti e il personale della scuola sono un bel serbatoio di voti, come anche almeno in parte gli studenti. Andarseli a mettere contro a pochi giorni da un voto importante come le regionali che si tengono tra due settimane dovrebbe essere altamente sconsigliabile. Meglio blandirli prima del voto e casomai stangarli dopo. Ma Renzi non governa con i sondaggi, cerca di fare la cosa giusta. Aspettando che il tempo gli dia ragione. E in questo modo manda anche un messaggio a elettori e investitori: non mi faccio condizionare e neanche spaventare.
Non ha avuto paura dei sindacati quando ha fatto passare il Jobs Act, e non ha avuto paura delle minoranze interne e esterne quando ha forzato sulla nuova legge elettorale. E dopo la sentenza un po’ a tradimento della Corte Costituzionale (come fanno gli investitori ad avere fiducia nell’Italia se una Corte per quanto alta annulla decisioni vitali per il bilancio dello Stato ad anni di distanza?) sta mostrando di non aver paura di perdere i voti dei pensionati. Una spiegazione può essere che giornali e osservatori politici “leggono” Renzi con le lenti utilizzate negli ultimi venti anni e fanno fatica a accorgersi del cambio di passo. Le sue mosse sono analizzate seguendo le leggi della tattica, non quelle della strategia, e quindi vengono spesso bollate come errori politici. L’investitore invece può permettersi forse una visuale un po’ più ampia e cercare di capire dove sta cercando di andare questo paese nel medio termine. La fiducia e anche qualche “puntata” di grandi operatori globali come BlackRock può aiutare sicuramente. Ma non può sostituire un ritorno di fiducia da parte degli investitori italiani: imprese e risparmiatori.
Il vero segnale che Renzi ce l’ha fatta e l’Italia ha svoltato arriverà, se arriverà, quando le prime torneranno a investire anche in Italia e i secondi cominceranno a convogliare le risorse finanziarie verso l’economia produttiva invece di tenerle sotto il materasso o sotto il mattone.