Bruxelles – La sua figura non è fra le più conosciute all’interno del panorama istituzionale dell’Ue, ma il mediatore europeo ha un ruolo centrale nella difesa dei diritti dei cittadini europei. Prima donna a essere eletta in questo ruolo (poi riconfermata nel dicembre scorso), Emily O’Reilly da diversi mesi sta portando avanti la battaglia per una maggiore trasparenza all’interno delle istituzioni europee. Proprio in questo senso vanno due documenti pubblicati recentemente dal mediatore, uno sulla composizione dei gruppi d’esperti consultati dalla Commissione per la redazione di leggi considerate più tecniche, e uno sulle “revolving doors”, espressione che indica la cattiva usanza di alcuni ex funzionari europei che, terminato il proprio mandato, cominciano immediatamente a lavorare per industrie o gruppi d’interesse come consulenti o lobbisti. “Il modo in cui verranno prese in considerazione le mie raccomandazioni sarà un utile banco di prova per comprendere quanto la Commissione sia seria nella sua battaglia per una maggiore trasparenza” ha dichiarato O’Reilly.
Pensa che nei prossimi mesi potremo davvero vedere qualche miglioramento nelle istituzioni dal punto di vista della trasparenza?
Il fatto che la Commissione verrà giudicata in base al proprio impegno sulla trasparenza significa che i cittadini hanno delle aspettative sull’argomento. Credo che l’interesse e la consapevolezza della gente riguardo alle lobby a Bruxelles abbia raggiunto un livello tale per cui la Commissione non possa più evitare l’argomento. Le istituzioni sono state sfidate riguardo alla loro visione di trasparenza e verranno giudicate in base a cosa faranno di concreto per far avanzare l’agenda sull’argomento. Per loro sarà molto difficile potersi semplicemente defilare da tutto questo.
Credo che il vicepresidente Frans Timmermans abbia ragione quando dice che non è solo la Commissione a dover fare qualcosa, ma la Commissione ha il ruolo di leader fra le istituzioni e può fare molte cose da sola, anche senza muoversi all’unisono con Consiglio e Parlamento. Non è giusto però dire che la Commissione non abbia fatto nulla. Ad esempio, ha fatto molto riguardo alla trasparenza sul Ttip (Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti, ndr), ma c’è ancora tanto lavoro da fare. Ciò che le istituzioni non vogliono che accada è che qualche scandalo possa forzare la macchina politica a muoversi, per questo la Commissione ha la responsabilità di essere più proattiva.
Bisogna poi aggiungere un’ulteriore considerazione: per la media dei cittadini europei è molto difficile capire cosa stia accadendo in Europa. La Commissione e le istituzioni devono essere molto più trasparenti. Dovrebbero esserci delle grandi frecce luminose in modo che i cittadini possano comprendere chiaramente cosa sta succedendo.
Secondo lei, quindi, una maggiore trasparenza nelle istituzioni porterà di conseguenza a un maggior interesse dell’opinione pubblica verso la politica europea?
Assolutamente sì. Credo che a volte i cittadini siano spaventati dall’Europa e si sentano molto ignoranti sull’argomento, maturando anche una sorta di senso di colpa. Pensano di non essere abbastanza intelligenti o altro perché non sanno cosa sia un trilogo o la codecisione, così lasciano tutto ciò in mano a un’élite e ai politici. Le istituzioni dovrebbero prendere più seriamente questa cosa cercando di colmare il divario democratico con molta più trasparenza, ma dovrebbero anche comunicare attraverso un linguaggio meno elitario rispetto a quello usato oggi a Bruxelles.
I parlamenti nazionali spesso non fanno abbastanza per generare interesse e consapevolezza a proposito di ciò che sta succedendo in Europa. Così capita che le persone se ne escano dicendo “com’è potuto succedere?”. È successo perché questo è il modo in cui tali processi emergono ma nessuno vi ha fatto attenzione a causa di tutte le barriere di cui ho parlato.
Lei ha molto criticato anche l’Iniziativa popolare dei cittadini europei perché secondo lei ha un meccanismo troppo complicato.
È esatto. Credo che, a un certo punto del processo, le persone che si mettono insieme debbano essere assistite per capire se quello che stanno facendo va nella giusta direzione. Immaginate di raccogliere un milione di firme in sette Stati membri e poi scoprire che è stato tutto inutile perché avete mancato un piccolo passaggio legale che, se aveste conosciuto prima, magari sareste stati in grado di risolvere. La Commissione non deve soltanto correggere i compiti alla fine, ma deve essere coinvolta in qualche modo durante il processo creando le strutture per assistere le persone. Ovviamente bisogna fare una distinzione fra cercare di assistere in maniera politica e il farlo solo in termini di pura consulenza legale. I cittadini non possono essere liquidati alla fine del processo per qualcosa che avrebbero potuto affrontare con facilità qualche mese prima.