I giornali italiani hanno dato poco spazio (molti l’hanno ignorata) agli scontri avvenuti lo scorso weekend in Macedonia tra forze governative e una banda armata composta da uomini di etnia albanese nella città di Kumanovo, nel nord del paese. Non sappiamo perché la notizia sia stata oscurata in questo modo, ma riteniamo che una seria riflessione su ciò che sta accadendo nel territorio della ex Jugoslavia sia necessaria.
Negli scontri hanno perso la vita 22 persone – 8 poliziotti e 14 sospetti terroristi – e altre 30 sono rimaste ferite. Secondo il governo macedone guidato dal conservatore Nikola Gruevski si trattava di neutralizzare “uno dei gruppi armati più pericolosi della regione balcanica, una quarantina di uomini ben addestrati che hanno partecipato ad altre operazioni armate nella regione e in Medio Oriente, un nucleo sovversivo che si preparava ad attaccare i palazzi delle istituzioni, i centri commerciali, a colpire durante gli eventi sportivi, con l’obiettivo di destabilizzare la Macedonia”.
Gli albanesi l’hanno presa diversamente. Ci sono state manifestazioni popolari di protesta presso l’ambasciata macedone a Tirana. I manifestanti hanno accusato Skopje di usare la violenza contro la minoranza albanese (a questo proposito però c’è da dire che in seguito agli scontri tra la minoranza albanese e la maggioranza macedone, nel 2001, il governo macedone è a tutti gli effetti un condominio bi-nazionale e che il partito albanese è un membro corrente della coalizione governativa).
La Macedonia, confinante a nord con il protettorato americano del Kosovo – dove, dopo la guerra degli anni novanta, è stata installata una grande base militare americana –, sta diventando di grande rilevanza strategica sia per i russi che per gli americani, dopo che la Bulgaria, sotto pressione da parte della Commissione europea, ha rifiutato di far passare sul proprio territorio il gasdotto South Stream, che avrebbe dovuto facilitare ai russi la vendita del proprio gas agli europei, aggirando l’Ucraina (nel progetto era pesantemente coinvolta anche l’industria italiana). I russi, infatti, stanno valutando la costruzione di un gasdotto alternativo, denominato Turkish Stream, che dovrebbe passare per la Turchia e la Grecia, e da lì raggiungere l’Europa passando proprio per la Macedonia (per poi proseguire verso l’Ungheria, la Slovenia, l’Austria e l’Italia).
Al centro degli scontri dello scorso weekend c’è questo nodo irrisolto del passaggio del gasdotto in Macedonia. Non si sa per ora che relazione avessero i ribelli albanesi con il tristemente noto movimento terrorista islamico dell’UCK, l’Esercito di liberazione del Kosovo, noto anche con l’acronimo inglese KLA. Ora la palla passa al primo ministro macedone Gruevski, che dovrà decidere cosa fare. Gli scontri confermano però che è in corso una guerra strisciante – gli inglesi la chiamano “proxy war” – su temi che riguardano essenzialmente gli interessi geostrategici dell’impero americano e della Russia in Europa.
A questo proposito, ha fatto secondo noi l’ex premier italiano Silvio Berlusconi a sottolineare sul Corriere della Sera l’errore di prospettiva che sta commettendo l’Europa nei confronti della Russia, riferendosi alla mancata presenza dei capi di Stato europei alla celebrazione che si è tenuta il 9 maggio sulla Piazza Rossa per il settantesimo anniversario della vittoria sovietica sul nazismo (anche se bisogna dire che la Merkel, pur non essendo presente in piazza, si è incontrata con Putin il giorno seguente, mentre l’assenza più eclatante, visti i legami commerciali e il danno che fanno all’economia italiana le sanzioni, è stata quella del nostro premier Matteo Renzi).
“Quello che stiamo commettendo è un errore di prospettiva”, ha scritto Berlusconi. “Quella tribuna sulla Piazza Rossa, sulla quale di fianco a Putin siederanno il presidente cinese, il presidente indiano, gli altri leader dell’Asia, non certificherà l’isolamento della Russia, certificherà il fallimento dell’Occidente… Nell’attuale scenario geopolitico l’Occidente ha di fronte due sfide, quella economica delle potenze emergenti dell’Asia e quella politica e militare dell’integralismo islamico. Per sostenere queste sfide è fondamentale avere la Russia dalla nostra parte. Ciò sarebbe coerente d’altronde con la storia e la cultura della Russia, che è per vocazione un grande paese europeo”.