Bruxelles – Niente “boots on the ground” ma azioni sulle coste e nei porti libici forse sì. Prende forma la missione dell’Unione europea per distruggere le imbarcazioni degli scafisti in Libia, un’operazione, lo ha ribadito ancora ieri l’Alto rappresentante per la politica estera Ue Federica Mogherini, soltanto “navale” e che “non comporta chiaramente un intervento di terra in Libia”. Ma se è vero che non si parla di truppe di terra, nel cosiddetto Crisis Management Concept (Cmc), e cioè il piano generale della missione, che dovrebbe ricevere un primo via libera già lunedì dai ministri di Esteri e Difesa dei Ventotto, dovrebbero figurare anche azioni lungo le coste e nei porti della Libia per colpire i barconi ancorati prima della partenza. L’Italia si è già detta favorevole: quella di bombardare i barconi nei porti “è un’ipotesi che è stata praticabile in Albania, sono tecniche militari, lo studio è pronto, noi siamo pronti a intervenire”, ha chiarito ieri il premier Matteo Renzi. E a dimostrare che il nostro Paese vuole essere in prima linea, anche il fatto che l’Italia abbia già messo a disposizione un quartier generale per l’operazione a Roma e abbia proposto un comandante italiano, l’ammiraglio di divisione Enrico Credendino, già alla guida dell’Operazione antipirateria nel Corno d’Africa.
A livello europeo, sulla missione, sembra esserci accordo tra tutti gli Stati membri. Perché l’azione contro i barconi nei porti libici possa essere effettivamente messa in atto in un quadro di legalità internazionale, comunque, bisognerà aspettare la risoluzione Onu invocata da Mogherini davanti al Consiglio di sicurezza dove pare, spiegano fonti europee, che proprio l’idea europea di intervenire sulle coste libiche sia uno dei punto di “maggiore sensibilità”. In attesa della decisione di New York, i ministri di Esteri e Difesa lunedì potranno comunque prendere una prima decisione politica sulla missione di cui però, senza il via libera del Palazzo di Vetro, potrebbe essere messa in atto solo la prima fase.
Nel complesso la missione potrebbe comprendere: attività di sorveglianza e intelligence per identificare le imbarcazioni dei trafficanti, l’intercettazione in alto mare delle imbarcazioni al fine della loro distruzione ed eventualmente interventi nelle acque territoriali libiche, ma per questo è appunto necessario un mandato del Consiglio di sicurezza o l’accordo delle autorità libiche che finora si sono mostrate tutt’altro che favorevoli all’idea. Per la distruzione di un’imbarcazione sarebbe necessario anche l’accordo dello Stato di cui la nave batte bandiera, se bandiera esiste.