Bruxelles – Tradito dai suoi stessi compagni di partito, Barack Obama ha ricevuto una scottante bocciatura in una delle priorità del suo mandato: gli accordi di libero scambio con l’Europa, il Ttip, e altri partner tra America, Asia e Oceania, il Tpp. Il Senato Usa ha detto di no all’istituzione della ‘Trade Promotion Authority’, una corsia veloce che avrebbe permesso al presidente di gestire i negoziati in maniera autonoma e indipendente, lasciando al Congresso soltanto il potere di approvare o rigettare in blocco l’accordo finale. È quello che avviene in Europa dove il Parlamento europeo, che sta elaborando una sua posizione sul Ttip, non ha il potere di emendandare l’eventuale accordo.
Le stesse condizioni non sono state accettate dall’altra parte dell’Atlantico e così il piano del presidente ha ottenuto 52 voti a favore e 45 contrari, non abbastanza visto che la maggioranza richiesta era di 60 voti. La cosa inaspettata è che a votare contro sono stati gli stessi democratici (tranne uno), mentre i favorevoli sono stati i repubblicani, all’opposizione di Obama ma in maggioranza al Senato. Il Congresso aveva approvato una Trade Promotion Authority nel 2002, ma la sua durata è solo quinquennale. Obama avrebbe potuto provare a rinnovarla prima ma sapeva che il suo stesso partito non è mai stato molto entusiasta degli accordi di libero scambio. Ha provato quindi ora a farla passare facendo affidamento sulla nuova maggioranza repubblicana in Senato che è il risultato delle scorse elezioni di mid-term. L’urgenza era data non tanto dal Ttip, su cui pure si sta cercando di velocizzare le trattative, ma dal la Trans-Pacific Partnership, che riguarda 11 Stati tra America, Asia e Oceania, in corso di negoziazione da più di cinque anni e, sembra, quasi in dirittura d’arrivo.
Senza questo strumento essenziale per dare libertà negoziale all’amministrazione adesso è molto più difficile che si riesca a trovare un accordo sulle due gigantesche partnership commerciali che Washington sta trattando, il Ttip e il Tpp. Rappresentanti e senatori statunitensi avranno la possibilità di emendare l’accordo finale, che sarà già il frutto di difficili trattative e basato quindi su delicati equilibri, rischiando di far saltare tutto in aria.