Soldi e potere sono da sempre indissolubilmente legati. Da millenni i primi servono per conquistare il secondo. Dai tempi dell’antica Roma, per non andare troppo indietro, senza soldi con cui pagare i soldati non ci sono eserciti per conquistare il mondo. E se non si era milionario in sesterzi non si diventava senatore. Negli ultimi tempi questo legame è rimasto indissolubile, ma sempre più spesso in termini invertiti. Sembra che nei Paesi avanzati dell’Occidente il potere sia diventato lo strumento per arrivare ai soldi e non viceversa. L’America dà come sempre l’esempio. I due uomini più potenti del mondo, il presidente degli Stati Uniti e quello della Federal Reserve, sono pagati relativamente poco quando sono in carica, ma dopo diventano ricchi proprio in virtù del posto che hanno occupato. Alan Greenspan, Bill Clinton e Ben Bernanke sono i casi più eclatanti, guadagnano milioni l’anno vendendo la propria esperienza in pubblico o privatamente. Ma i casi forse più straordinari di questo paradigma invertito li troviamo in Europa, e rispondono ai nomi di Tony Blair e Gerhard Schroeder.
Avrebbero potuto diventare i Kohl e i Mitterrand del nuovo millennio. E invece, alla prima sconfitta importante di una carriera politica che forse aveva ancora anni da spendere, hanno preferito il ritiro dorato. Eppure avevano le idee, il carisma e la visione per passare alla storia come la nuova generazione di padri fondatori della costruzione europea. L’anno chiave è il 1998. In America Clinton è alle prese con il caso Lewinsky, in Europa tutti i paesi dell’ex blocco sovietico si mettono in fila per entrare nell’Unione, la dracma greca aderisce al meccanismo di cambio che darà vita all’euro mentre viene creata la Banca Centrale Europea. Blair è primo ministro della Gran Bretagna da un anno e gli è subito toccata la presidenza di turno dell’Unione (come Renzi nel 2014) mentre Schroeder si prepara a diventare cancelliere a ottobre. A giugno i due firmano e pubblicano un documento che, a leggerlo oggi, fa una certa impressione. Il titolo è “Europa: la terza via (in inglese) il nuovo centro (in tedesco)” e affronta i temi che sarebbero stati chiave nei successivi 15 anni.
Blair ha 45 anni, Schroeder 54. I due non si limitano a elencare i problemi ma offrono anche le soluzioni. Dalla necessità di inventare un nuovo welfare sostenibile, alla ritirata dello stato per lasciare spazio alle imprese, fino al ridimensionamento di spese pubbliche che hanno raggiunto il limite della sostenibilità. Purtroppo viene presentata come un’agenda socialdemocratica, e non come un progetto di rifondazione europea alla vigilia della moneta unica. C’è da dire che allora l’Europa, con Prodi in Italia, Jospin in Francia e l’unica eccezione di Aznar in Spagna era tutta di centro sinistra. Blair governa fino al 2007, Schroeder fino al 2005. Tutti e due – Schroeder forse più di Blair — realizzano l’agenda del 1998 in casa, ma non riescono a darle una dimensione continentale. In realtà neanche ci provano, una volta immersi nella politica nazionale. I cigni neri delle bolle finanziarie e della crisi del debito sovrano fanno il resto.
E l’Europa arriva all’appuntamento con la grande crisi del tutto impreparata, con l’eccezione appunto di Germania e Gran Bretagna. Parliamo della solidità dei bilanci pubblici, non delle banche. Prima Schroeder e poi Blair dopo le sconfitte elettorali lasciano sostanzialmente la politica per passare a occupazioni più rilassanti e remunerative. Per l’ex premier britannico c’è un ritorno di fiamma nell’ottobre del 2007, quando si parla di lui come possibile primo presidente del Consiglio Europeo, elevato a dignità di istituzione dal Trattato di Lisbona. Ma rimane una speculazione giornalistica e non se ne fa nulla. Si parla sempre di mancanza di leadership come del problema dell’Europa di oggi. I leader c’erano, ma non se la sono giocata fino in fondo. Peccato. Oggi hanno rispettivamente 62 e 71 anni. Il loro giro è passato.
In molti paragonano lo stile dell’italiano Matteo Renzi a quello del Blair rottamatore del vecchio Labour vent’anni fa. Ci vorrebbe una spalla che parla tedesco. E che magari abbia anche l’ambizione di vedere il suo nome scritto sui libri di storia e non solo nelle agende dei banchieri d’affari.