“Sulla questione energia in Europa non si è mai avuto quel senso di urgenza per tutta l’Unione che abbiamo visto apparire per altre materie”. Lo sostiene un esperto di questi temi che forse colpisce nel segno. Sono state affrontate, spesso, questioni “locali”, emergenze regionali, ma nel suo complesso il tema forse non ha mai avuto l’attenzione che merita.
E’ vero che, anche qui, come è per le banche, le sensibilità nazionali sono molto forti, gli interessi enormi, ma si è faticato, e si fatica, ad avere una visione strategica complessiva. Ora è arrivato, finalmente un grande progetto, l’Unione energetica, forse la più grande sfida dopo la creazione della Comunità del Carbone e dell’Acciaio, come ha detto il vice presidente della Commissione Europea Maros Sefcovic presentando, a fine febbraio, la proposta a cui lavorerà per i prossimi anni. La questione era la seconda tra le cinque priorità presentate da Jean-Claude Juncker in campagna elettorale: “Voglio riformare e riorganizzare la politica energetica europea in una nuova Unione energetica europea”. Lo ha detto e ha iniziato a farlo.
Cosa ha fatto, però? Tanto, secondo alcuni, solo la presentazione dell’iniziativa è un grande passo avanti, dicono. Poco però per altri, perché, e questo è innegabile, la proposta della Commissione non tocca i Trattati, e dunque, per la gran parte, si tratta di un atto di indirizzo politico, non sarà vincolante, perché questioni come il mix energetico e la scelta delle politiche sulle forniture restano materie di competenza degli Stati. “Sarà necessario cambiare il modo di pensare di molte teste nei governi degli Stati”, ha spiegato Sefcovic, rivelando il punto debole di tutta la strategia. Il grande problema sarà, oltre alla questione delle forniture, quello della integrazione delle reti, contro la quale giocano interessi di dimensioni straordinarie ad esempio tra paesi confinanti, come la Francia e la Spagna, uno con grandi fonti nucleari e l’altro rinnovabili. Questo mercato nel mercato ha interessi che sono oggettivamente contrastanti, e che sarà difficile portare a sintesi comune.
Poi c’è la grande questione dell’energia “verde”, del rinnovabile, dell’efficienza, dell’economia circolare. Tutti temi che saranno approfonditi nella due giorni di dibattito organizzata da Eunews presso il Comitato Economico e Sociale Europeo a Bruxelles: “How can we foster green growth?”. In un panorama nel quale lo scenario negli ultimi mesi è cambiato radicalmente, con i prezzi del petrolio particolarmente bassi e la fine di molte politiche di sostegno alle fonti rinnovabili, cosa si può fare per sostenere questa importante parte della produzione di energia? Sino ad oggi, proprio in base ai Trattati, pur nel quadro degli obiettivi per la lotta contro il cambiamento climatico, ogni governo ha fatto un po’ quel che ha voluto, con il risultato di una mancanza di coerenza sulla quantità prodotta, con localizzazioni spesso non integrate con le reti, con una complessa disciplina della concorrenza e degli aiuti di Stato.
Quanto si è fatto per spingere il mercato di queste fonti? Apparentemente ancora molto poco, troppo poco. E se non c’è un mercato che le sostenga perché le aziende dovrebbero investirci? Manca ancora una relazione forte tra le politiche, la ricerca e le industrie. Un esempio delle difficoltà è la recente regolazione dei biofuel approvata la scorsa settimana dal Parlamento europeo, che ha dovuto cedere alle pressioni dei produttori lasciando un tetto molto alto all’uso di biocarburanti di prima generazione e riservando uno spazio a quelli di seconda troppo piccolo per poter creare un mercato funzionante. Il progetto di Unione energetica su questo aspetto appare ancora da riempire di contenuti.