di Philippe Legrain, assistente economico del presidente della Commissione europea dal 2011 al 2014 e oggi visiting senior fellow alla London School of Economics
Pubblicato il 24 aprile su CapX – “rivista online impegnata nella promozione del capitalismo popolare” – e tradotto in esclusiva per Oneuro.
Il 23 aprile, dopo l’ennesima strage, i leader dell’Ue si sono riuniti a Bruxelles per decidere come rispondere al fenomeno dei migranti in fuga dalla Libia che continuano a trovare la morte nel Mediterraneo. Solo quest’anno sono morte circa 1.600 persone, secondo l’Unhcr, di cui quasi 1.000 la scorsa settimana. Si tratta di un drastico incremento rispetto al 2014, in cui sono morte in tutto 3.500 persone. In un suo recente articolo, il politico conservatore britannico Daniel Hannan ha scritto che la soluzione è semplice: l’Europa dovrebbe “cambiare le regole affinché sia possibile riportare indietro i barconi, in modo sicuro, al loro punto di partenza. Solo così la gente smetterà di affrontare queste orrende traversate”. Sono totalmente in disaccordo con Hannan. Ritengo che la sua proposta sia illegale, immorale, impraticabile e sbagliata. Esiste un’alternativa migliore.
Hannan ha ragione a dire che “il movimento di persona dalla Libia verso l’Italia non è in primo luogo una responsabilità britannica”. Ma non possiamo neanche lavarcene del tutto le mani. Il bombardamento della Libia da parte dell’aviazione britannica prima e la mancata stabilizzazione del paese poi hanno creato quel vuoto omicida da cui ora la gente sta fuggendo. Molta più gente è morta quest’anno nel Mediterraneo a causa della cancellazione, lo scorso ottobre, dell’operazione Mare Nostrum, la missione di salvataggio in mare del governo italiano contro la quale si era fortemente battuto il ministro dell’interno britannico Teresa May. Al contrario di quanto argomentato da May e da altri – ossia che salvare la gente in mare rappresenta un incentivo per i migranti –, il numero di persone che hanno tentato di raggiungere le coste italiane – e che sono morte nel corso della traversata – è aumentato vertiginosamente da quanto è stata cancellata la missione. È per questo che ora il primo ministro britannico David Cameron sostiene, giustamente, che le operazioni di salvataggio in mare vanno ripristinate per far fronte all’emergenza umanitaria.
Hannan ha anche ragione quando dice che i trafficanti di esseri umani sono dei criminali incalliti. Ma questi “gangster”, come li chiama lui, fanno affari d’oro proprio a causa dell’impossibilità, sia per i richiedenti asilo che per coloro che sono in cerca di lavoro, di entrare legalmente in Europa. Così come il proibizionismo negli Stati Uniti degli anni venti fece la fortuna di molti mafiosi.
Ad ogni modo, quello che conta non è chi sia il responsabile di questa tragedia – ma come possiamo risolverla. Hannan sostiene che dovremmo emulare la politica “stop the boats” del governo australiano, perché – proprio come sostiene il primo ministro australiano Tony Abbott – questa è “l’unica maniera di fermare l’ecatombe” e rappresenta dunque “la soluzione più decente e compassionevole”.
Non è così. Tanto per cominciare, una politica di questo tipo sarebbe illegale. La Dichiarazione universale dei diritti umani, redatta in seguito alla seconda guerra mondiale nel mezzo di una crisi dei rifugiati ancora peggiore di quella attuale, stabilisce che “ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio” e “di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni”. Quando Hannan dice che dobbiamo “cambiare le regole”, intende dire che la Gran Bretagna dovrebbe ritirare la propria firma dalla Dichiarazione universale? E comunque la sua proposta risulterebbe senz’altro illegale in Italia e a Malta, che non mi risulta abbiano alcuna intenzione di ritirarsi dalla Dichiarazione universale o dalla giurisdizione della Corte europea dei diritti umani.
A prescindere da quello che pensiate del diritto internazionale ed europeo in materia di diritti umani, una decisione di questo tipo sarebbe immorale. “Riportare indietro i barconi, in modo sicuro, al loro punto di partenza” non vuol dire che la gente sarebbe al sicuro una volta giunta lì. La Libia si trova oggi in uno stato di anarchia selvaggia in cui gli aderenti dello Stato islamico hanno dichiarato guerra ai cristiani, ai laici e ai musulmani moderati. Come può essere “la soluzione più decente e compassionevole” rispedire la gente in quell’inferno?
La proposta di Hannan è anche impraticabile. Rimandare indietro i barconi non scoraggerebbe la gente dal venire, così come non è stata scoraggiata dalla cancellazione di Mare Nostrum. Come mai? Perché qualcuno riuscirebbe comunque ad arrivare in Italia, e per chi è sufficientemente disperato questo basta per affrontare la traversata. Gli Stati Uniti deportano ogni anno più di 400.000 migranti in Messico e in America Centrale. Ma questi continuano a tornare, più e più volte. Inoltre, quanto ci costerebbe scortare ogni singolo barcone scalcagnato e sovraccarico verso le coste libiche? E come ci dovremmo comportare in caso di naufragio?
Infine, la proposta di Hannan interviene solo sui sintomi del problema, non sulle cause. Lo stesso vale per il debole accordo raggiunto la settimana scorsa dai leader Ue, che consiste nell’incrementare le risorse dell’operazione Triton. Si tratta di una missione di sicurezza che si limita al controllo delle frontiere europee invece di intervenire in mare aperto con operazioni di salvataggio, con un misero impegno ad “incrementare le operazioni di ricerca e soccorso nei limiti del mandato Frontex” (in altre parole: molto poco). Si parla anche di montare un’azione militare per distruggere i barconi prima del loro utilizzo direttamente sulle coste libiche (se dovesse essere giudicato fattibile).
Ma la verità è che, finché continuerà la carneficina in Libia e altrove, la gente continuerà a scappare. Finché l’Europa continuerà a rappresentare una speranza di sicurezza e di opportunità di lavoro, la gente continuerà a venire. Ecco perché serve una strategia alternativa, di cui elencherò alcuni degli aspetti fondamentali. Innanzitutto, è nell’interesse sia dell’Europa che delle popolazioni interessate investire di più nella stabilizzazione delle regioni del vicinato. Vogliamo veramente lasciare mano libera ai terroristi dello Stato islamico a due passi da casa nostra?
In secondo luogo, l’Unione europea dovrebbe aumentare il numero di rifugiati che è disposta ad accogliere. Anche se fossero accolte tutte e 219.000 le persone che hanno effettuato la traversata l’anno scorso, esse ammonterebbero solo allo 0,04 per cento della popolazione totale dell’Ue (500 milioni circa). Affermare che non possiamo accogliere altri rifugiati è semplicemente falso: paesi più piccoli e più poveri come il Libano (popolazione: 4,5 milioni), la Giordania (6,5 milioni) e la Turchia (75 milioni) hanno accolto finora tre milioni di rifugiati siriani. Non è vero che queste rappresenterebbe un fardello per le finanze pubbliche: se ai rifugiati fosse concesso di lavorare, rappresenterebbero una risorsa per la società (e sarebbero in grado di restituire il dovuto in poco tempo).
Il nostro continente è sempre più vecchio e ha bisogno di persone che facciano i lavori che i locali non vogliono fare, a partire proprio dalla cura degli anziani. Per questo l’Europa dovrebbe permettere ad un maggior numero di extracomunitari di venire qua a lavorare legalmente. Uno dei motivi per cui gli immigrati cercano di raggiungere l’Europa è che in molti paesi, tra cui la Gran Bretagna, esistono molte opportunità di lavoro, ma è impossibile per un aspirante lavoratore stagionale, impiegato delle pulizie o portinaio ottenere un visto per entrare legalmente.
Come minimo, dovremmo fare tutto quello che possiamo per salvare le vite di coloro che fuggono dal caos libico. Prima che fosse cancellata, la missione di “ricerca e soccorso” del governo italiano costava 9 milioni di euro al mese: 1,8 centesimi per ogni cittadino dell’Ue. Espandere la missione vorrebbe dire far lievitare i costi a 2, 3 o forse 5 centesimi al mese a testa. Non è forse un prezzo accettabile per il salvataggio di migliaia di vite umane?