Bruxelles – L’Ungheria medita un ritorno al passato. Viktor Orban, primo ministro ungherese, ha ufficialmente avviato il dibattito politico su un’eventuale re-introduzione della pena di morte nel Paese, abolita solo nel 1990. Una scelta che coglie in contropiede la Commissione europea, visibilmente in difficoltà. “Non commentiamo casi ipotetici, né vogliamo speculare su dibattiti in corso”, la risposta “classica” di Christian Wigand, portavoce della Commissione per questioni di Giustizia e diritti fondamentali. Mentre il Parlamento europeo si mobilita – con il presidente Martin Schulz che ha chiesto un colloquio telefonico con Orban – la Commissione, guardiana dei trattati, se lavora lo fa sotto traccia. “Non sono a conoscenza di alcun incontro o telefonata del presidente Jean-Claude Juncker con Orban”, fa sapere Wigand. Cosa si rischia? Ufficialmente non c’è niente e dunque come sempre in questi casi la linea dell’esecutivo comunitario è quella del no-comment. “Non entriamo in speculazioni su questioni ipotetiche”. D’accordo, ma il diritto – almeno nei Paesi di civil law – disciplina situazioni ipotetiche, e cosa succede se l’Ungheria dovesse decidere di reintrodurre le pena capitale, che si impegnata a ripudiare per poter accedere in Europa? “L’abolizione della pena di morte è una condizione per poter essere parte di questa Unione”, la mezza risposta fornita infine dal portavoce del Berlaymont, che però non entra nel merito degli aspetti giuridici.
Le risposte si possono ricavare dai trattati. Ogni Paese membro si impegna a rispettare la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue che, al secondo comma dell’articolo 2, afferma che “nessuno può essere condannato alla pena di morte”. Il secondo comma dell’articolo 7 della versione consolidata del trattato sull’Unione europea stabilisce “il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2” della suddetta carta. Qualora sia verificata la violazione dei trattati dell’Ue, “il Consiglio deliberando a maggioranza qualificata, può decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio ”.