Bruxelles – Una crescita del PIL dell’1,9% nell’UE nel 2015 e 1,6% nell’Area Euro (rispetto all’1,7% e 1,2% delle previsioni dell’autunno scorso). E’ un quadro tutto sommato positivo quello dell’economia del Vecchio Continente disegnato oggi da Business Europe, l’associazione delle confindustrie nazionali.
“La nostra ultima previsione comprende due segnali positivi: abbiamo indicazioni che i consumatori sono un po’ più fiduciosi sul loro futuro, mentre le aziende sono sempre più alla ricerca di denaro per finanziare nuovi investimenti”, ha sostenuto il direttore generale dell’associazione Markus J. Beyrer.
Secondo l’indagine la ripresa si rafforzerà poi un po’ nel 2016, quando si prevede che il PIL cresca del 2,1% nell’UE e dell’1,9% nell’area dell’euro. “Il miglioramento delle prospettive è in gran parte il risultato di circostanze fortunate, come il calo dei prezzi del petrolio e l’euro più debole”, ha aggiunto Beyrer.
La domanda interna dovrebbe sostituire gradualmente le esportazioni nette come principale motore di crescita. Tra i segni di una crescente fiducia dei consumatori Business Europe si aspetta una crescita dei consumi privati nell’UE del 1,9% nel 2015. Le aziende stanno segnalando la più alta domanda di finanziamenti dall’inizio della crisi e ci aspettiamo una crescita degli investimenti del 2,8% quest’anno. Però, afferma Beyrer, “per mantenere un forte recupero nel lungo termine, l’Europa deve ridurre gli ostacoli strutturali a investimenti, competitività e crescita”, e aggiunge di temere che “l’accesso ai finanziamenti sarà un vincolo sempre più stringente una volta che l’economia si riprenderà”.
Pur rimanendo su livelli elevati, la disoccupazione dovrebbe scendere un po’: al 9,5% (dal 9,8%) nell’UE e al 10,6% (dal 11,3%) nella Zona euro, sempre nel 2015, e al 9,0% (UE) e 10,1% (ZE) nel 2016., anche se resteranno significative differenze tra i paesi.
L’inflazione dovrebbe rimanere bassa nel 2015, ma tenderà ad aumentare gradualmente al 1,5% per l’UE e 1,2% per la zona euro nel 2016, come effetto di costi di importazione più elevati e di stabilizzazione dei prezzi dell’energia, se persisteranno.