Bruxelles – L’ultima gravissima strage di migranti avvenuta nel canale di Sicilia mette a nudo ancora una volta, nella più tragica delle maniere, l’inadeguatezza dei sistemi europei nella gestione dei flussi migratori e nel soccorso dei profughi nel Mediterraneo. L’anno scorso sono state tremilacinquecento le persone morte nel tentativo di raggiungere le coste italiane, mentre dall’inizio di quest’anno purtroppo già millecinquecento hanno perso la vita.
“Le comunità di origine effettuano una vera e propria selezione tra i giovani”, scrive Enrico Casale, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), e “a partire sono solo quelli più forti fisicamente e che possono avere maggiori opportunità di sopportare le difficoltà della traversata”. Le comunità da cui provengono, continua Casale, investono per i prescelti ingenti risparmi economici nella speranza che “questi giovani, se e quando giungeranno in Europa, possano essere in grado di mantenere i nuclei familiari di origine”.
I luoghi di partenza, prosegue il ricercatore dell’Ispi, sono l’Africa orientale, con la Somalia, il Sud Sudan e l’Eritrea, lacerati da duri conflitti, ma anche quella occidentale, con la Nigeria “dove più dell’80% della popolazione vive in povertà e nel quale il conflitto innescato dalla milizia jihadista Boko Haram sta mietendo centinaia di vittime”, il Mali, il Burkina Faso, il Ghana, il Niger, il Senegal ed altri paesi. Molti inoltre sono anche i siriani che fuggono dal loro paese scappando verso l’Europa.
“Le rotte sono molteplici”, dice Casale, “ma confluiscono fondamentalmente in due grandi direttrici”, di cui la prima è quella che “risalendo dall’Africa orientale verso il Sudan raggiunge la Libia e poi l’Italia”, mentre la seconda è quella che “attraversando Burkina Faso, Niger o Mali arriva sempre in Libia”. È quello libico quindi il territorio in cui convergono i profughi africani, il quale dopo i recenti sconvolgimenti politici e sociali è diventato il punto di confluenza delle rotte migratorie di quasi tutta l’Africa.
Una nuova rotta inoltre, che si sta consolidando sempre più, è quella dei siriani che fuggono dalla guerra, che prevalentemente si rifugiano in Giordania o in Turchia ma che arrivano a raggiungere in parte anche l’Europa. A lucrare su questo traffico di vite umane sono tanto le organizzazioni criminali che gestiscono gli imbarchi in Libia quanto quelle che si occupano delle tappe intermedie, come “la mafia nigeriana”, la cui presenza, ricorda l’esperto dell’Ispi, “è forte a Ouagadougou, nella capitale del Burkina Faso”.
“Ai tempi del regime di Gheddafi”, fa notare poi ancora Casale, “i trafficanti erano conniventi con le forze dell’ordine” a cui “spesso vendevano i migranti, che i poliziotti provvedevano a fare incarcerare senza però togliere loro i cellulari, in modo che potessero chiamare casa e farsi inviare denaro per pagare gli agenti, che solo a questo punto li rilasciavano”. Anche oggi che il regime di Gheddafi è caduto questo sistema continua a sussistere, con l’unica differenza che “le forze dell’ordine sono state sostituite dalle milizie che controllano il territorio”.