Bruxelles – Con l’emergenza sbarchi che si fa sempre più forte e le ultime tragedie nel Mediterraneo, da più parti si avanza la richiesta di una riforma di Dublino III, il regolamento comunitario in tema di Asilo politico. Ma in che cosa consiste? Quali sono le falle e le incoerenze nel sistema e come si potrebbe migliorarlo? Ne abbiamo parlato con Ferruccio Pastore, direttore del centro studi Fieri, il Forum internazionale ed europeo di ricerche sull’immigrazione.
Il principio centrale di Dublino III è che la richiesta di Asilo deve essere fatta nel primo Paese in cui si mette piede
“Si tratta di un principio vecchio di 25 anni che risale alla prima stesura della convenzione di Dublino nel 1990, un principio che era contenuto anche nella convenzione di Schengen dello stesso anno. All’epoca anche la Germania era uno Stato periferico non essendo ancora la Polonia uno Paese membro dell’Ue. Difficile dire quanta consapevolezza ci fosse allora della situazione, ma di sicuro non c’era il senso di emergenza che c’è oggi e nemmeno l’attuale rete di controlli capillari. La norma parla di migrante che arriva in maniera irregolare considerandola quasi come un’ipotesi residuale, mentre è praticamente la norma”
Ci sono eccezioni a questa regola?
“Ci sono alcune piccole eccezioni, la principale riguarda il richiedente Asilo, soprattutto se minore, che abbia familiari stretti in un altro Paese membro rispetto a quello di arrivo. In quel caso c’è il diritto al ricongiungimento, ma la parentela deve essere provata e non è semplice. I migranti arrivano spesso senza documenti, la regola è quindi che bisogna fare un test del Dna. Ma è molto complicato perché al di là della lunghezza e del costo della procedura bisogna trovare il parente che vive già in Europa e far fare anche a lui il test. È necessario un forte coordinamento tra i Paesi e i costi sono elevati”.
Ma le cose funzionano sempre così o ci sono delle scappatoie? Come è possibile ad esempio che il maggior numero di domande di Asilo in Europa sia in Germania che non è un Paese di confine?
“Teoricamente a ogni immigrato irregolare dovrebbero essere prese le impronte digitali che devono poi essere inserite nella banca dati Eurodac, in sé una cosa ai limiti del diritto in quanto di solito le impronte digitali si prendono a chi compie un crimine. Ma al di là di questa riflessione le impronte digitali dovrebbero servire a tracciare l’ingresso dei migranti che così se chiedono Asilo in un Paese diverso da quello in cui sono entrati in Europa vengono scoperti e rimandati indietro. Col tempo è cresciuta la consapevolezza che l’accordo non funzionava ed è iniziata a livello politico una trattativa per apportare dei cambiamenti accompagnata da comportamenti diciamo da freeriders di alcuni Paesi, in primis la Grecia ma anche l’Italia. I migranti venivano lasciati passare senza essere identificati, in modo che potessero chiedere Asilo nel Paese in cui veramente volevano andare. Questa pratica ha minato molto la fiducia tra gli Stati ed ora in Italia viene evitata perché il nostro Paese sta conducendo una battaglia per la modifica di Dublino III e deve mantenere quindi una buona reputazione per farlo”.
Sono molte le richieste di Asilo rifiutate per la questione del Paese di arrivo?
“Il numero è cresciuto enormemente negli ultimi anni. Secondo le statistiche pubblicate dal ministero dell’Interno e basate su dati Eurostat lo Stato con il maggior numero di casi è la Germania in cui ci sono state nel 2013 4.316 ‘riammissioni attive’, ovvero espulsioni di richiedenti Asilo verso il Paese attraverso cui sono entrati in Europa. Nel 2008 erano 2.112, meno della metà. Subito dopo c’è la Svezia con 2.869 ‘riammissioni attive’ nel 2013. Per quanto riguarda le ‘riammissioni passive’, a guidare la classifica c’è proprio l’Italia dove nel 2013 sono state rimpatriate 3.460 persone che erano entrate in Europa attraverso il nostro Paese ma che hanno chiesto Asilo da un’altra parte. Un balzo avanti enorme rispetto al 2008 quando le riammissioni passive erano state solo 996. Le riammissioni attive in Italia invece nel 2013 sono state solo 5, verso l’Austria. Dopo di noi il maggior numero di riammissioni passive c’è stato in Polonia, altro Paese di confine: 2.442 nel 2013. Il totale delle riammissioni attive in tutta l’Unione europea nel 2013 è stato di 16.014”.
Sembra la fotografia di un sistema che non funziona
“Si tratta di una situazione assurda in cui c’è da una parte un richiedente Asilo che non vuole stare in un Paese, e dall’altra lo stesso Paese che lo ospita che non vorrebbe tenerlo lì. Questa convergenza di interessi però cozza con le norme e mostra che c’è bisogno di attuare un cambiamento”
Ma in che modo una riforma di Dublino III potrebbe aiutare a trovare una soluzione al dramma delle morti nel Mediterraneo? Al di là di quale siano le regole ci saranno comunque dei disperati che prenderanno i barconi della morte
“Certamente la riforma di Dublino III non è la soluzione ma contribuirebbe comunque a migliorare la situazione. Oggi gli Stati sanno che se salvano un migrante nelle proprie acque territoriali dopo dovranno farsi carico anche della sua tutela, e questo per loro è un ulteriore fardello. Per quanto brutta possa essere la cosa è un dato di fatto su cui bisogna agire. Se un Paese sapesse che una volta salvato un migrante ci saranno altri Stati che lo aiuteranno facendosene carico, forse dedicherebbe più energie e risorse nelle operazioni di ricerca e salvataggio. Anche questo comunque non sarebbe sufficiente. Ci vorrebbe una presa di responsabilità davvero europea”.
E come dovrebbe attuarsi una presa di responsabilità veramente europea?
“Se ci fosse una missione europea in acque internazionali, con mezzi e uomini dei diversi Stati membri, le operazioni di ricerca e salvataggio sarebbero molto più efficaci. A quel punto si porrebbe però il problema di dove portare le persone che vengono salvate, perché non sta scritto da nessuna parte che di loro deve farsene carico l’Italia. E qui dovrebbe intervenire una regolamentazione che condivida l’assunzione di responsabilità in base a criteri astratti ma calcolabili, tipo la popolazione e la densità abitativa di un Paese o le sue condizioni socioeconomiche. Oppure si potrebbe scegliere un criterio veramente liberale, ovvero quello di far scegliere al richiedente asilo il Paese in cui vuole provare a fare la domanda di ammissione. O comunque bilanciare queste due opzioni”.