di Gianni Pittella, capogruppo dei Socialisti al Parlamento europeo
Diario di una missione in Congo.
Kinshasa. Repubblica democratica del Congo. Ex-Zaire, ex Congo-Belga. Da quando siamo atterrati nella capitale del paese più grande dell’Africa, si rincorrono immagini di povertà, miseria, caos. Persone che vivono in baracche, donne che indossano eleganti e coloratissime vesti che come equilibriste circensi trasportano appoggiati sulla testa improbabili pile di alimenti e masserizie. Uomini che in un caos assoluto trovano la strada del lavoro e della fatica quotidiana. Eppure questo paese di 70 milioni di abitanti potrebbe campare di rendita sfruttando solo le sue immense risorse minerarie.
Ma qui siamo in Africa e le risorse si trasformano spesso in sangue. Tanto sangue. Innocente. I motivi sono sempre i soliti. Gli stessi che stritolano da secoli l’ex colonia Belga: la voracità degli interessi dell’Occidente che alimenta lotta e corruzione per lo sfruttamento delle risorse naturali e dell’industria estrattiva. Un tempo si chiamavano caucciù e avorio. Oggi, oro, uranio, coltan, cassiterite. Un’industria che genera 1.2 miliardi di dollari di profitti all’anno. Profitti illegali.
L’Occidente, tutti noi, restiamo indifferenti. Quasi sempre ignari, passiamo voracemente da un cellulare ad un altro. Non sapendo che quei cellulari, i nostri cellulari, pc e tablet, sono sporchi del sangue di chi viene sfruttato, usato e violentato in Congo-Rdc e nella zona dei Grandi Laghi per estrarre il coltan. Questo sconosciuto minerale è il principale elemento con cui vengono fabbricati gli apparecchi elettronici. Il Congo detiene l’80 per cento della produzione mondiale. Non ci vuole tanto per capire che praticamente tutti i colossi dell’elettronica non possano far a meno del Coltan “congolese”, ovviamente una volta esportato e “ripulito” nei paesi limitrofi, Burundi, Uganda e Ruanda. Un’industria che basterebbe a rendere il paese uno dei più ricchi al mondo ma che invece finanzia una guerra tra bande e guerriglieri che fanno dello stupro e della violenza sulle donne la loro arma di distruzione umana e sociale. Spesso con la benedizione, corrotta, delle autorità politiche e militari.
Questa è la ragione per la quale ho scelto di venire in Rdc. Vogliamo fortemente riportare l’Africa al centro della politica estera del gruppo socialista europeo. L’Europa, colpevolmente, per troppi anni ha scelto di non guardare e lasciar fare. Ed era giusto partire da qui, dal paese dove si protrae una delle più complesse ed irrisolte emergenze umanitarie. La stabilità democratica ed istituzionale della Repubblica democratica del Congo è strategica per la stabilizzazione della regione dei grandi laghi che comprende tra gli altri Uganda, Ruanda e Burundi.
L’Rdc rappresenta infatti un asse centrale, vista anche la sua estensione, per formare una sorta di cordone sanitario contro l’avanzata del terrorismo e del fanatismo religioso sempre più pressante dal nord Africa ed in paesi vicini come la Somalia. Ecco perché con una delegazione del gruppo socialista, di cui fa parte anche Cecile Kyenge, Elena Valenciano, Linda McAven, Maria Arena abbiamo ribadito nel primo giorno di incontri con il premier e le autorità congolesi la necessità di rispettare il calendario elettorale che fissa la scadenza per le elezioni presidenziali al 2016. Dimostrare di essere pronti ad una sana alternanza democratica, come è accaduto in Nigeria, sarà fondamentale per stabilizzare il paese e lanciare le riforme in campo sociale, economico e sanitario di cui la popolazione avrebbe tremendamente bisogno.
Lasciata la capitale Kinshasa, grazie ad un volo della Monusco, il contingente Onu presente ormai da 16 anni nella Rdc, voleremo ai confini con Ruanda e Burundi, nella parte orientale del paese. Precisamente a Goma ed a Bukavu, nella regione di Kivu. Area questa tra le più ricche di minerali al mondo e tristemente conosciuta per essere infestata da milizie armate di ogni genere e provenienza. Ci sono le pericolose milizie formate dagli Hutu ruandesi che parteciparono al genocidio del 1994 e che continuano la propria folle guerra adesso in terra congolese. Ci sono alcune milizie provenienti dal vicino Uganda, famose per essere formate perlopiù da bambini soldati, ci sono i Mai Mai congolesi a condurre la propria lotta quotidiana contro l’esercito congolese. Una particolare densità militare legata ovviamente al controllo dei ricchissimi giacimenti minerari.
Ci andiamo per vedere da vicino l’inferno delle miniere di coltan e per visitare il Panzi Hospital, guidato dal premio Sakarov dott. Mukwege. Un angelo che cura la donne e le ragazze e le bambine violentate dai guerriglieri e che è testimone da anni del terrore e delle violenze che martoriano la popolazione di Kivu da ormai tantissimi anni. Troppi.
Di ritorno a Bruxelles, il Parlamento europeo dovrà decidere come regolamentare lo sfruttamento di questi minerali per evitare che le multinazionali continuino a finanziare la guerriglia attraverso l’acquisto a basso prezzo di oro, coltan dalle miniere sotto il controllo dei gruppi armati. Gli Stati Uniti si sono dotati di una rigida legislazione in materia per impedire alle compagnie statunitensi di alimentare il conflitto congolese. Adesso tocca all’Europa dotarsi di una legislazione che renda obbligatoria la tracciabilità per i minerali importati dalle società di componentistica e di elettronica. Si tratterebbe di una rivoluzione etica e civile che per adesso sembra ostacolata dagli interessi dei grandi gruppi industriali e che in Parlamento vede l’opposizione del gruppo dei popolari e di quello dei liberali.
Noi andremo avanti. Questa è la nostra battaglia. Far capire e conoscere. Il silenzio e l’indifferenza ci rendono complici. E noi non saremo mai complici di criminali, profittatori e assassini.