A poco a poco il suo nome torna a circolare, i toni si ammorbidiscono e accanto ai richiami, che pure persistono, ricompaiono anche i propositi di “ampliare e approfondire le relazioni” con il Paese. Non più solo “l’ultimo dittatore d’Europa”: Alexander Lukashenko, al potere in Bielorussia da oltre vent’anni, sembra gradualmente diventare, per l’Unione europea, un interlocutore accettabile. Dietro alla nuova fase di disgelo, soprattutto la posizione di Minsk nella crisi Ucraina, durante la quale il fedele alleato di Putin ha inaspettatamente condannato l’annessione della Crimea, fornito supporto nei colloqui di pace svoltisi proprio nella capitale bielorussa, chiesto un coinvolgimento degli Usa nella soluzione del conflitto e rifiutato di seguire Mosca nell’introduzione dell’embargo sui prodotti europei.
Una svolta, quella della repubblica ex sovietica, se non obbligata almeno fortemente suggerita dalla situazione economica. La Bielorussia, la cui economia è dominata dall’industria pesante, è stata fortemente colpita dalla crisi economica russa dal momento che Mosca è il principale mercato delle sue esportazioni: dopo una crescita dell’1,6% nel 2014 il Fondo monetario internazionale stima almeno al 2% la recessione probabile per quest’anno. Minsk ha dovuto svalutare la sua moneta in seguito al crollo del rublo, i salari dei cittadini continuano a calare e se è vero che la Russia ha concesso poche settimane fa un credito al Paese di 110 milioni di dollari, lo ha fatto a fronte di una richiesta da parte del governo bielorusso di oltre 2 miliardi e mezzo. Impossibile insomma continuare a guardare soltanto ad Est: meglio tentare di rendersi più “presentabili” e tenere uno spiraglio aperto anche verso l’Europa. Questo non significa voltare le spalle a Mosca: la Bielorussia, insieme ad Armenia e Kazakhstan, ha aderito, nell’ottobre 2014, all’Unione economica eurasiatica, ma la proposta di una valuta comune avanzata da Putin in quell’occasione è stata accolta freddamente dagli altri leader e poi rapidamente accantonata.
Certo con Bruxelles la situazione non può cambiare così rapidamente. Se è vero che al termine della riunione informale dei ministri degli Esteri dell’Ue tenutasi fine febbraio a Riga, i responsabili della diplomazia dei 28 hanno aperto la strada alla “possibilità di ampliare e approfondire le relazioni con la Bielorussia”, restano ancora in vigore le sanzioni che Bruxelles ha emanato contro i responsabili di violazioni degli standard elettorali, repressioni e violazioni dei diritti umani, ma anche contro coloro che sostengono il regime o ne traggono beneficio. Le misure restrittive sono state rinnovate l’ultima volta ad ottobre 2014 per un periodo di un anno e si dovranno dunque rivedere tra non molto. Per il momento l’avvicinamento è dunque a piccoli passi e da parte dell’Ue si traduce soprattutto nell’intensificazione di quella politica di “impegno critico” già in atto nei confronti della Bielorussia. Una politica fatta di dialoghi settoriali nel quadro del Partenariato orientale, di negoziati per la facilitazione della concessione di visti e di confronto sul processo di riforme necessario per modernizzare il Paese anche in vista di un possibile sviluppo di relazioni con l’Ue (incluso un possibile supporto finanziario).
Insomma “l’Ue si può impegnare solo in piccoli graduali passi per migliorare i rapporti”, spiega Adriano Martins, vice capo della divisione del Servizio di azione esterna dell’Ue per le relazioni con Ucraina, Moldavia, Bielorussia e Transcaucasia, intervenuto oggi davanti alla sottocommissione per i diritti umani del Parlamento europeo. “Nel contesto attuale la Bielorussia non ha percorso la via che molti si aspettavano e cioè seguire ogni passo della Russia: al contrario ha adottato una posizione costruttiva sul conflitto in Ucraina e ha preso misure coraggiose a sostegno del Paese”, riporta il rappresentante del servizio diplomatico dell’Ue, che però chiarisce: “Nonostante la tendenza sia più positiva, l’Ue non potrà adottare misure maggiori per normalizzare i rapporti con la Bielorussia solo per il ruolo positivo che il Paese ha avuto nella crisi Ucraina”. Anche a Lukashenko, continua Martins, “abbiamo ricordato che l’Ue rimane una comunità di valori e non dimentichiamo la preoccupazione per la democrazia e i diritti umani”.
Nella pratica la Repubblica Bielorussia rimane infatti sotto ogni aspetto un regime autoritario, con tutto ciò che questo comporta. “Da vent’anni il presidente fa il bello e il cattivo tempo nel Paese”, il suo è un “one man show”, denuncia davanti al Parlamento europeo, Miklos Haraszti, relatore delle Nazioni Unite per la Bielorussia. “Il Paese – spiega – è governato a colpi di decreti presidenziali” e quello di Minsk “è l’unico parlamento in Europa che per vent’anni non ha avuto opposizione e ogni volta che il presidente viene eletto ci sono repressioni violente per le strade”. Le prossime presidenziali saranno a novembre di quest’anno ed è difficile immaginare uno scenario diverso dall’ennesima riconferma di Lukashenko. L’ultima volta il presidente è stato rieletto nel 2010 con votazioni che l’Osce (l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), dopo avere inviato a Minsk 300 osservatori, ha definito “né libere, né imparziali”. All’epoca, sette dei nove candidati presidenti in competizione con Lukashenko furono imprigionati.
E quello dei prigionieri politici rimane uno dei motivi delle più dure critiche internazionali nonostante alcune recenti aperture, come un’amnistia concessa nel luglio 2014. Ma “liberare alcuni prigionieri politici non ha senso se poi non c’è una loro riabilitazione a livello dello Stato, se non vengono cancellate le condanne penali”, fa notare il rappresentante Onu. Molto critica, aggiunge, anche “la situazione dei media” settore in cui “le cose sono molto peggiorate e vengono continuamente creati nuovi ostacoli burocratici da parte del sistema per esercitare controllo”.
Non esiste, in Bielorussia, nemmeno libertà di associazione perché, spiega Haraszti agli eurodeputati, “qualsiasi attività pubblica, riunione o manifestazione richiede un’autorizzazione che però non viene mai concessa perché le autorità non lo ritengono opportuno”. E così tutto diventa illegale, “non solo organizzare eventi ma anche prendervi parte”. La Bielorussia rimane anche l’unico stato europeo in cui è in vigore la pena di morte: “Una sentenza è stata eseguita quest’anno, tre l’anno scorso”, riporta il relatore delle Nazioni Unite.
Completamente in mano pubblica anche anche l’economia: “Il 78% è sotto il controllo dello Stato”, sottolinea Haraszti, secondo cui “tutti noi che abbiamo vissuto il comunismo ci ricordiamo questa finta sicurezza creata da regimi di questo tipo in cui tutta l’economia è controllata dallo Stato”. Finta appunto, perché “è un sistema molto fragile, anche economicamente”.
Di fronte a tutte queste criticità come deve agire l’Unione europea? È giusto pensare di riallacciare i rapporti con Minsk? “Il rischio è quello di una politica a doppio binario”, avvisa il relatore dell’Onu sulla Bielorussia, e cioè: “Da un lato c’è un deterioramento della situazione dei diritti umani, con i prigionieri politici che continuano ad aumentare, il sistema legislativo che non viene modificato e la situazione che non migliora, ma dall’altro c’è un’attività diplomatica febbrile per cercare di migliorare i rapporti con il governo”. In questa situazione, l’Ue “potrebbe dare un contributo per collegare questi due elementi ora separati, e imporre una condizionalità che deve essere presa molto sul serio”. Certo “non si possono pretendere cambiamenti dall’oggi al domani” ma in caso contrario “il rischio è finire per sostenere l’attività di Lukashenko”. Oggi “il suo regime ha davvero bisogno dell’Europa”, spiega ancora Haraszti perché “l’unione eurasiatica a cui la Bielorussia ha aderito esiste, ma la crisi economica che ha colpito anche la Russia ha ridotto gli aiuti e l’assistenza che venivano forniti in passato”. Bruxelles potrebbe dunque cogliere l’occasione per chiarire che un migliore rapporto con l’Europa ci può essere ma dovrà andare di pari passo con un miglioramento nella situazione dei diritti umani nel Paese.
Una via su cui la Commissione europea sembra già essere indirizzata. “La liberazione e la riabilitazione dei prigionieri politici rimane una condizione chiave nella normalizzazione delle relazioni tra Ue e Bielorussia”, ha avvertito il commissario Ue per la Politica di Vicinato, Johannes Hahn, in questi giorni proprio a Minsk nell’ambito delle visite ai sei Paesi del Partenariato orientale Ue in vista del summit che si svolgerà a maggio a Riga. Nel corso della visita Hahn ha incontrato i parenti di alcuni prigionieri politici e rappresentanti della società civile e ha garantito che “la solidarietà dell’Ue con la società civile rimane incrollabile ed è presente in molte aree: integrazione sociale, promozione di uno sviluppo democratico, supporto alle imprese, sviluppo ambientale e regionale”. Il commissario ha anche incontrato il vice primo ministro Vasily Matyushevsky per discutere della situazione economica e politica nel Paese e nella regione.