Bruxelles – L’università? Non serve o serve poco, visto che ci si investe sempre meno. Almeno in Italia, a giudicare dai dati. Complice la crisi e la necessità di fare economie, il nostro Paese è tra quelli che tra il 2008 e il 2012 ha ridotto di più in Europa la spesa per la formazione superiore.
Si taglia, in sostanza, laddove si pensa che si possa tagliare. Istruzione addio quindi, e con essa anche la possibilità di poter dire la propria nel mondo del lavoro, dove arriviamo sempre meno preparati rispetto ai colleghi del resto dell’Ue. L’analisi approfondita “Formazione superiore nell’Ue” del Parlamento europeo non lascia spazio ai dubbi: nel periodo più acuto della crisi solo sei Paesi dell’Ue hanno investito di più che in precedenza nella formazione universitaria: Austria, Belgio (Vallonia), Francia e Paesi Bassi con un aumento di spesa publbica tra l’1% e il 10%, Germania e Svezia con più del 10%. Solo otto governi hanno decretato tagli superiori al 10% nell’istruzione superiore: si tratta di Grecia, Irlanda, Italia, Lituania, Regno Unito, Repubblica ceca, Spagna e Ungheria. Per l’Italia il dato appare una sorta di conferma della scarsa attenzione dei governi per il ciclo di istruzione successiva al completamento della scuola superiore di secondo grado. Nel 2008, prima dell’inizio della crisi, l’Italia era il penultimo Paese membro per percentuale di Pil investito nelle università: allora venivano destinate risorse pari allo 0,83% del Prodotto interno lordo, contro una media europea dell’1,23%. Peggio di noi solo la Slovacchia (0,78%).
Al di là degli impegni di revisione di spesa, il contributo pubblico all’istruzione è spesso legato al mercato universitario. Con una domanda in calo (come quella italiana) anche la spesa dei governi si riduce, e stabilire perchè il numero degli studenti diminuisce non sempre è facile perchè possono concorrere più fattori. A volte, come in Lettonia (-16% il tasso di riduzione degli studenti tra il 2008 e il 2012), c’è un abbandono da parte degli studenti, in altri casi c’è un calo demografico alla base della riduzione delle iscrizioni. A volte un insieme delle due cose. Ad ogni modo, rileva lo studio, in quei Paesi in cui i finanziamenti pubblici all’istruzione superiore diminuiscono, le università spesso hanno nei fondi comunitari “la loro speranza” di approvvigionamento di risorse. Ma i programmi Ue “non sono intesi a sostituire gli schemi di finanziamento nazionale, che ha bisogno di rimanere forte per mantenere alta la competitività”.
Di fronte ai tagli dello Stato, l’Europa dunque può poco. Per di più l’istruzione resta di competenza esclusiva dei governi nazionali. Perciò l’Italia è avvisata: provveda da sola ai propri universitari negli atenei pubblici. Il rischio, per il nostro Paese, è di essere meno attrattivi e meno competitivi. Ma, soprattutto, di lasciare che l’istruzione superiore sia sempre più privata, e dunque non più per tutti, acuendo il divario sociale.
Educazione superiore nell’Ue, leggi qui lo studio.