colonna sonora: Chilly Gonzales – Knight Moves
Le colpe dei padri ricadranno sui figli. Quindi io da adesso sono pulito, giusto?
Avere un figlio, e quando dico “un figlio” intendo uno piccolo, non vale se il vostro ha già imparato a camminare e a rubarvi soldi e macchina il sabato sera, voglio dire un bambino di quelli ancora puri, che ti disarmano con i loro sguardi ingenuamente curiosi (tacendo il fatto che non vedono ancora una ceppa), dove non esiste traccia di malizia o di profitto o di razzismo, insomma un neonato, ti riporta alle origini.
A quelle origini che non hai mai vissuto per esperienza diretta ma che sono registrate nel tuo DNA di Homo Sapiens, di essere in armonia con la natura, che aveva inventato magari gli utensili e l’arte figurativa rupestre, ma era ancora molto lontano dal creare lo smog e i crack finanziari.
Il neonato, nella società malata che ogni giorno costruiamo e deterioriamo allo stesso tempo, nasce già come un piccolo target per il mercato: abitini di marca, giocattoli intelligenti, prodotti per la cosmesi, elettrodomestici di design, super sterilizzatori, culle meccaniche, mamme gonfiabili… Per un genitore inesperto (chi scrive è ormai papà da quindici giorni quindi può salire tranquillamente in cattedra: starà poi a mio figlio da grande, grazie all’aiuto dell’analista, elencarmi tutti i traumi che gli avrò causato e che gli avranno rovinato l’esistenza) sembrerà indispensabile acquistare tutto, nella versione ultimo modello turbo potenziato e magari in doppio esemplare, ed è normale che sia così, anche perché altrimenti la civiltà dei consumi si incrinerebbe. Il pupo diventa anche un ostacolo allo scandire del tempo industrializzato, basato su una tabella di marcia al millisecondo costruita attorno al lavoro, al fitness, allo shopping e alle news, tralasciando tutto ciò che c’è di umano, in senso atavico.
Il nuovo arrivato, col suo carico di assoluta semplicità, incomprensibile per noi anime corrotte, vuole insegnarci qualcosa di fondamentalmente importante, ovvero che non abbiamo bisogno del 97% delle cose che possediamo. Lui chiede solo calore umano, latte di mamma, essere protetto e amato e poter scoreggiare liberamente senza essere giudicato. Come si può combattere con un essere così basico? E soprattutto chi cazzo si crede di essere che manco è arrivato e già ci vuole insegnare, tra l’altro senza saper parlare?
Qualche giorno fa, alle 4:26 di mattina, dopo un’oretta di sonno e con ancora sui piedi la cacca calda del mio tesoro, guardandolo negli occhi mentre si agitava come se volesse fare o dire qualcosa senza riuscirci, mi è venuto un flash assurdo: e se i bambini arrivassero sulla terra per avvertirci che stiamo facendo tutto male e che per salvare l’umanità dobbiamo fermarci, scaldarci e amarci l’un l’altro, succhiare una tetta e scoreggiare liberamente ma non sono in grado di comunicarcelo e crescendo se ne dimenticano? D’altronde a quell’ora i pensieri non sono al top della lucidità.
Resta il fatto che il parto è una sorta di passaggio da un mondo ad un altro e mentre voi eravate intenti a pontificare su un rigore non dato o sulle offerte del supermercato, il sottoscritto è riuscito ad ottenere un’intervista in esclusiva ad un esperto sull’argomento, che in qualche modo fa luce su quanto detto finora, se mai qualcosa è stato detto:
Le grandi interviste di Ceskoz (è un link, bisogna cliccarci sopra)
Insomma il bambino nasce totalmente puro e potenzialmente potrebbe essere l’homo novus che salva il mondo, ma la nostra invidia ci porta a manipolarlo fino a renderlo uno di noi, per non farci sentire peggiori. E’ per questo che iniziamo a comprargli di tutto, a lasciarlo piangere per rispondere ad una mail di lavoro, a sgridarlo se la notte non dorme, a dargli il latte in polvere da sniffare e a cercare aiuti esterni, tipo la diciannovenne polacca che vorrei mettermi in casa 24 ore su 24 ma la mia compagna non vuole.
Ma allora uno potrebbe chiedere: se la notte non dormi, non hai più vita sociale, non riesci a vedere un film, hai a che fare con cacca e pipì altrui, le tette che ami di più non sono più una tua esclusività… ma quali sarebbero ‘ste famose gioie della paternità?
Me lo sono chiesto anche io. E alle 3:36 di un mercoledì di marzo, gonfio di occhiaie ho cercato di rispondermi, sbadigliando.
La semplicità ritrovata. Tornare ad un’infanzia che pensavi perduta per sempre. Avere di fronte qualcosa di meravigliosamente candido, anche se è pieno di cacca. Scoprire una forma di comunicazione elementare, senza doppi fini o sottotesti. Focalizzare cosa è veramente importante e dedicarsi solo a quello. Spegnere i cellulari, spegnere la televisione, chiudere i giornali. Riuscire a calmare un pianto col potere di un abbraccio. Ritrovare una dimensione umana lasciando fuori la follia neoliberista quotidiana. Godere del calore di un cucciolo che si addormenta sul tuo petto. Pensare che forse lui sarà migliore di te e quindi c’è ancora speranza. Guardarlo ridere nel sonno e sciogliersi come un calippo in riva al mare. Condividere l’amore per la stessa donna. Sentire che ha bisogno solo di voi, che siate in un triplex di lusso o in una caverna. Avere la certezza che c’è ancora del bello in questo mondo.
E ricominciare a scoreggiare liberamente senza paura di essere giudicati.