di Ambrose Evans-Pritchard e Mehreen Khan
La Grecia è pronta a nazionalizzare il sistema bancario e a introdurre una moneta parallela per pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici se l’eurozona non farà qualcosa per disinnescare la crisi in corso e ammorbidire le proprie richieste.
Fonti vicine a Syriza dicono che il governo è determinato a mantenere in funzione i servizi pubblici e a pagare le pensioni anche se le casse dello Stato sono quasi al verde. Per farlo, potrebbe non avere altra scelta che mancare il pagamento della prossima tranche dovuta al Fondo monetario internazionale, in scadenza la settimana prossima.
A meno che l’eurozona non accetti di sborsare la prossima trance del suo prestito ponte, la Grecia non sarà in gradi di coprire sia i 458 milioni dell’Fmi in scadenza il 9 aprile che gli stipendi e le spese di protezione sociale in scadenza il 14 aprile.
“Siamo un governo di sinistra. Se dobbiamo scegliere tra fare default nei confronti dell’Fmi e fare default nei confronti della nostra gente, la scelta è chiara”, ha dichiarato un funzionario di alto livello del governo.
Syriza preferirebbe limitare la disputa in corso ai creditori europei, ma i prossimi pagamenti in scadenza sono nei confronti dell’Fmi, non dell’eurozona. Il partito preferirebbe non fare formalmente default nei confronti del Fondo, ma una messa in mora dei pagamenti nei confronti dell’Fmi – che equivarrebbe di fatto a un pre-default – viene ormai visto da molti come un passaggio ineludibile nel braccio di ferro del governo con Bruxelles e Francoforte.
Il sentimento ad Atene è che le potenze creditrici dell’Ue non hanno ancora capito che, con l’elezione di Syriza, lo scenario politico in Grecia è cambiato radicalmente, e che dovranno iniziare a fare delle vere concessioni se vogliono evitare l’implosione dell’unione monetaria – un esito che gli stessi creditori hanno sempre definito impensabile.
Mettere i mora i pagamenti che la Grecia deve all’Fmi – anche solo per qualche giorno – è una strategia estremamente rischiosa. Nessun paese sviluppato ha mai fatto default nei confronti del Fondo. Anche se intercorrerebbe un periodo di grazia di sei settimane prima che il board dell’Fmi dichiari la Grecia in default tecnico, la situazione potrebbe facilmente sfuggire di mano.
Fonti interne a Syriza dicono che il partito è pienamente consapevole che adottare una linea dura nei confronti dei creditori rischia di mettere in moto una reazione a catena dagli esiti potenzialmente devastanti. Ma insistono sul fatto che esso è pronto a contemplare ogni scenario possibile pur di non abbandonare le promesse elettorali fatte al popolo greco. A tal fine, sono già al lavoro su un “piano B”.
“Chiuderemo le banche e le nazionalizzeremo, e se necessario emetteremo dei “pagherò” [detti anche certificati di credito fiscale]. Siamo consapevoli delle implicazioni, ma non siamo pronti a diventare un protettorato dell’Ue”, ha dichiarato un ufficiale del partito. È chiaro a tutti, ad Atene, che questo ammonterebbe di fatto ad un ritorno alla dracma, anche se Syriza preferirebbe trovare un accordo con l’eurozona.
I creditori dell’eurozona potrebbero essere disposti a sbloccare i fondi necessari affinché la Grecia possa coprire le spese dello Stato in scadenza il 14 aprile, ma solo se Syriza paga la tranche che deve all’Fmi. Il problema è che ormai la fiducia tra le due parti è talmente bassa che alcuni dei ministri chiave del governo greco non credono più alle rassicurazioni che giungono da Bruxelles, e temono che si possa trattare di una trappola. Il clima è diventato particolarmente velenoso.
“Vogliono costringerci a imporre i controlli di capitale e a causare un credit crunch, finché il governo non diventerà così impopolare che cadrà”, ha dichiarato un ufficiale. “Vogliono trasformare la Grecia in un esempio, per dimostrare che nessun governo nell’eurozona ha diritto ad avere una propria opinione. Sono convinti che non siamo pronti ad andarcene per la nostra strada e che la gente non ci sosterrà, ma si sbagliano”.
Syriza nutre ancora qualche speranza che alla fine intervenga la cancelliera tedesca Angela Merkel, che considerano una “vera alleata”, a disinnescare la crisi, ma temono che verrà messa anch’essa di fronte al fatto compiuto.
Bank of America ha avvertito che se la Grecia salta un pagamento nei confronti dell’Fmi “potrebbe mettersi in moto una sequenza di eventi molto pericolosa”: scatenerebbe automaticamente un default nei confronti del fondo salva-Stati dell’eurozona, l’Efsf, che si potrebbe vedere costretto a cancellare i prossimi esborsi e a richiedere il pagamento immediato dei prestiti passati. Questo scatenerebbe a sua volta un default su tutti i bond greci emessi in base all’accordo di salvataggio.
La situazione è critica. Anche se la Grecia riesce a racimolare abbastanza soldi per rispettare le scadenze di aprile, deve al Fondo altri 200 milioni di euro il primo maggio, e 763 milioni il 12 maggio. Mercoledì scorso un ufficiale greco ha detto alle sue controparti europee, in una teleconferenza, che il paese ha finito i soldi. “Non siamo in grado di andare oltre il 9 aprile”, ha detto.
L’ultimo capitolo del dramma greco è iniziato quando i creditori si sono rifiutati di sbloccare l’ultima tranche di aiuti, dopo aver sollevato obiezioni in merito al piano di Syriza di incrementare i poteri dei sindacati e di aumentare le pensioni per le fasce a basso reddito.
Bruxelles continua a chiedere al governo greco impegni più concreti, nonostante mercoledì abbia ricevuto una lista di riforme di 26 pagine. Atene spera di raccogliere 6.1 miliardi di euro nel 2015 affrontando il contrabbando di benzina e l’evasione fiscale, introducendo nuove imposte sui beni di lusso e riformando le regole sugli appalti pubblici. Si stima però che le spese del governo per il 2015 ammontino a 19 miliardi, il che significa che, anche se si dovesse giungere a un accordo ponte fino a giugno, nel corso dell’estate sorgeranno inevitabilmente nuove tensioni.
Pubblicato sul Telegraph il 2 aprile 2015.
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