Siamo in quattro, tutte donne, mediterranee e “diversamente verdi”; oltre a me, che co-presiedo il partito verde europeo, ci sono Mar Garcia, Segretaria generale del Partito verde europeo, Vula Tsetsi, segretaria generale del gruppo parlamentare al PE, Gwendoline Delbos-Cortfield, membro dell’esecutivo dei verdi europei e consigliera regionale nel Rhone Alpes. Sbarchiamo ad Atene un lunedì pieno di sole per capire meglio cosa si muove dentro il nuovo potere greco e anche come se la cavano i Verdi greci, alleati minoritari di Syriza e per la prima volta al governo con un viceministro responsabile all’ambiente Giannis Tsironis, nell’ambito dell’importante ministero alla ricostruzione, ambiente ed energia tenuto dell”hardliner” della sinistra di Syriza Panayotis Lafazanis.
Come la maggior parte dei Verdi mediterranei, i Verdi greci non se la passano bene. Dopo un breve periodo di grazia nel 2009, che ha loro permesso di eleggere un deputato europeo, sono oggi divisi in tre, l’un contro l’altro armati. Eppure, l’interesse per questa alleanza, e soprattutto la sua dimensione europea, è piuttosto chiara nel governo, ed è dimostrata dal fatto che in poco meno di due giorni riusciamo a fare visita a 6 ministri, compreso il famoso Varoufakis, cosa a dir poco sorprendente in questi giorni turbolenti e di grande tensione fra Bruxelles e Atene e dentro lo stesso governo.
Nessuna di noi pensa di riuscire a capire tutto in meno di due giorni. Ma i Verdi europei sono da anni impegnati in una battaglia contro l’austerità “Uber Alles” dai toni e contenuti ben diversi da quelli di critica poco attenta alla costruzione di proposte alternative della sinistra radicale, e dei socialdemocratici, il più delle volte incapaci di scegliere un deciso cambio di rotta delle fallimentari politiche di austerità (bla-bla a parte) e quindi mosci e senza visione nel dibattito europeo. Non che per ora questo ci abbia favorito elettoralmente, stretti fra la demagogia facile della sinistra e l’ignavia socialista, comunque molto più forte di noi.
Ma io resto convinta che la strada di un federalismo europeo fondato sulla trasformazione verde della produzione economica e della società sia alla lunga un’opzione vincente. La partita in corso sulla Grecia potrebbe essere l’inizio della fine del progetto europeo o l’occasione del suo riscatto, e non solo dal punto di vista finanziario. E non c’è lotta ai cambiamenti climatici o un vero Green New deal senza un’Europa forte e unita.
Una parola torna continuamente nei nostri colloqui: il tempo, che manca e che non si vede perché non debba essere concesso. E un’immagine, quella della corda al collo. Il messaggio che ci viene dato, da tutti, compreso il ministro delle finanze Varoufakis, molto “cool” e determinato, esattamente come appare su riviste e giornali, è molto semplice. Dal giorno uno, la Grecia e l’Eurogruppo stanno in una battaglia navale su diversi livelli, nel quale i ministri delle finanze, i funzionari UE e nazionali, il governo greco capiscono che la cosa migliore sarebbe trovare un accordo e che si tratta di poca roba ( un paio di miliardi di euro entro fine aprile di fronte ai rischi di una Grexit?) ma la realtà è che l’intenzione degli europei è di non cedere nulla politicamente al governo di Syriza, per lo più per ragioni di politica interna: se questa crisi sta facendo una vittima è l’abitudine dei governi e della Commissione a pensare ed agire “europeo”, in una corsa suicida alla rinazionalizzazione di tutto o quasi. Ma anche il vecchio detto “punirne uno per educarne 100” è ben presente. Esiste ciò che noi Verdi denunciamo da un famoso discorso di Dany Cohn Bendit davanti al Pe nel 20101: è assolutamente impossibile che in due mesi un nuovo governo possa avere un piano totale e organizzato di smantellamento di corporazioni e poteri avendo al collo la spessa fune della mannaia europea.
Per il resto, se è evidente che se in meno di due mesi non si fa una rivoluzione e non si cambia un paese, è anche vero che non tutto quello che si vede dietro l’immagine quasi cavalleresca che i suoi sostenitori europei danno di Tsipras e del suo governo riflette un corso “nuovo”.
D’altra parte, da Atene, l’atteggiamento rigido e burocratico di buona parte dell’Eurogruppo e della Commissione europea appare molto di più come un braccio di ferro di natura politica e una sorta di gioco assurdo nel quale si rischia il MAD (Mutual Assured distruction) che una discussione genuina su misure concrete fra creditori e debitori ben disposti l’uno verso l’altro. La discussione sui punti del programma pare un gioco fra il gatto e il topo, con il gatto che diventa topo e viceversa, perché siamo tutti in una barca fragile. Viene il sincero dubbio che ci sia davvero una capacità reale -dalle due parti- di definire delle misure possibili e riflettute e che orami siamo entrati in un braccio di ferro con ampie dosi di “testosterone” e reciproca avversione, testimoniata anche dal fatto che i funzionari europei sono praticamente reclusi all’hotel Caravel e il 1° aprile lo scherzo più in voga è stato l’annuncio attribuito a Varoufakis che se i negoziati con l’Eurogruppo falliscono, la Grecia passerà al « bitcoin » ! A riprova di questo, la pubblicazione ieri delle misure specifiche del piano, che accetta alcune privatizzazioni2, ma non prevede tagli alle pensioni, sono state accolte molto freddamente e anche un po’ distrattamente, dato che si pensa che la partita è politica, dovrà attendere ancora qualche giorno ed è davvero incerta.
Ma d’altra parte, dalla catastrofe di un’amministrazione distrutta da decenni di malgoverno e da sei anni di austerità si può pretendere un impeccabile piano di riforma in due mesi da parte di un governo che pretende di rompere del tutto con il passato? E, di grazia, quale fra i governi in carica ha un “impeccabile” piano di governo dopo qualche settimana?
Alcuni nostri interlocutori ci dicono candidamente che non ci sono neppure riunioni regolari del Consiglio dei Ministri e che ognuno sta col naso sul volante con addosso il timore di un fallimento che ancora pochi considerano possibile, ma che emerge come non più impossibile, come una palla lasciata distrattamente cadere in un negozio di porcellana che per incompetenza e superficialità di chi ce l’aveva in mano fa un disastro.
Ma non ci mettiamo molto a capire che anche nel governo Tsipras ci sono anche quelli che con la scusa dell’emergenza, preparano decisioni estremamente negative, che metteranno altre serie ipoteche sulla ripartenza del paese. Da chi corre a Bruxelles per farsi sbloccare i soldi per costruire nuovi hotel a cinque stelle3 e chi vuole continuare nella deregulation ambientale4, a chi, come il Ministro della Ricostruzione ed energia Lafazanis ti dice con un sorriso gentile che bisogna assolutamente spendere più di un miliardo di euro in una nuova mega centrale a carbone, fare un accordo per le trivellazioni di gas e petrolio con i russi, aprire miniere d’oro in piena zona turistica, evitare di fare troppo eolico e per non dipendere dai tedeschi (anche perché le rinnovabili sono carissime) e altre amenità che di nuovo non hanno assolutamente nulla.
Senza contare, naturalmente, la perigliosa alleanza con Anel e il suo controverso leader, stretta, dicono qui, nell’idea di coprire il forte fronte conservatore, togliendo terreno a Samaras, ma accompagnata da dichiarazioni e azioni che hanno avuto un impatto negativo certo dentro e fuori il Paese, dove gli allarmi di un’evoluzione nazionalista pericolosa e addirittura di nuove connivenze con vecchi poteri sono più che lanciati da intellettuali e opposizione.
Tutto ciò detto, quale credibilità e fiducia si può dare a burocrati (e politici) che scrivono cose allucinanti come che misure votate all’unanimità da un parlamento eletto a favore dei senza tetto sono “misure unilaterali” in contrasto con gli accordi dell’Eurogruppo? Questi sono i funzionari europei che rappresentano l’interesse comune? E Padoan, che rappresenta anche me, davvero la pensa così? La realtà tristissima che vediamo in faccia ad Atene è che con tutti i limiti e difetti della Grecia, i governi e la Commissione europea non ci pensano neppure a cambiare verso e cha la Commissione Juncker, a parte qualche tentativo di moral suasion del suo Presidente è ormai ridotta al Segretariato non tanto del Consiglio europeo, bensì dell’Eurogruppo, organo neppure previsto dai Trattati.
E allora, sorprendentemente, nell’ignavia generale di funzionari e governanti, tra gli strilli ottusi di nordici pieni di pregiudizi, l’inconcludenza dei francesi, indisponibili a scollarsi dai tedeschi, Rajoy che è peggio dei nordici per paura di Podemos, Renzi che lavora tanto discretamente nelle retrovie, che non riesce a cambiare gran che, perfino da Atene appare molto chiaro che chi si conferma come unica salvatrice possibile è sempre e solo lei, Angela Merkel. L’unica che, alla fine dei conti pare trattare Tsipras quasi alla pari, l’unica che sembra cosciente dei rischi e allo stesso tempo capace di prenderne la misura e di agire davvero, dopo i catastrofici errori suoi e di chi pensa di parlare e agire in suo nome. Questa percezione, vera o fasulla che sia, ci sorprende si e no, e non ci consola per nulla anche perché non è una particolare assicurazione contro futuri disastri. Ma è la sconsolata ammissione che, nel vuoto di destri e sinistri e in questa Europa da rilanciare, le parole e i programmi oramai hanno rivelato la loro insufficienza. O ci rimbocchiamo le maniche e troviamo davvero il consenso e la forza per cambiare strada, o alla fine bisognerà contare solo sulla saggezza di chi il potere ce l’ha e non ha intenzione di mollarlo.
di Monica Frassoni, Co-Presidente Partito verde europeo
Note:
1 Dany Cohn-Bendit “Vous etez tous fous!” Maggio 2010 https://www.youtube.com/watch?v=AhMTc0h5JZM
2 http://www.theguardian.com/business/live/2015/apr/01/greece-bailout-deal-eurozone-officials-pmi-growth#block-551c1da4e4b08caf50c1ea06
3 Pur se il Ministro Stathanakis mi dice discretamente che quella parte é stata cancellata dalla pianificazione