“La prossima settimana presenteremo il Def (Documento di economia e finanza) in Parlamento, dopo averlo subito prima approvato in Consiglio dei ministri”. E’ l’annuncio di Pier Carlo Padoan, titolare dell’Economia, in audizione davanti alla commissione Bilancio della Camera. Il documento – che prelude alla preparazione della legge di stabilità da approvare a fine anno – sarà “più espansivo possibile”, aggiunge Padoan, anche se “in modo selettivo”. Infatti, prosegue il ministro, si concentrerà a “sostegno dell’occupazione e degli investimenti”. Anche per questo, il Def “conterrà un allegato infrastrutture con una lista di 49 progetti pensati per entrare nel meccanismo” del piano Juncker.
In ogni caso, l’esecutivo intende agire “rispettando i vincoli”. Anche perché, dopo la comunicazione della Commissione Ue sulla flessibilità, ci sono margini più ampi offerti dalla “clausola sugli investimenti”, che il governo valuterà “quando e come utilizzare”, spiega Padoan, con l’obiettivo di “avvalersi della nuova flessibilità” garantita dall’esecutivo comunitario “nel modo più efficiente possibile, in un’ottica di medio termine”.
Il numero uno di via XX Settembre parla anche del Piano Juncker, tema oggetto dell’audizione. L’elemento “cruciale per valutarne l’impatto”, secondo il ministro, è “l’addizionalità”: il “meccanismo deve permettere di avviare investimenti che non partirebbero spontaneamente”, precisa. Sui criteri di selezione degli interventi, il titolare dell’Economia indica che ancora non sono stati definiti, ma “il governo ha sostenuto in sede Ecofin” che ce ne debbano essere “due: il criterio microeconomico di progetti profittevoli, e quello delle debolezze macroeconomiche”, cioè intervenire in settori che rappresentano “fallimenti di mercato” – investimenti poco attrattivi per l’elevato rischio e la bassa remunerazione – e in territori con un elevato “gap di investimenti”.
Il ministro torna poi su un altro punto: l’effetto leva che dovrebbe portare a 315 miliardi i 21 messi a disposizione dall’Ue (16) e dalla Bei (5). Secondo Padoan “è stato giudicato realistico” dalle istituzioni europee sulla “base di esperienze” analoghe. Il ministro spiega poi che l’effetto si dispiegherà “in due fasi”. La prima “consentirà il finanziamento di circa 61 miliardi da parte del gruppo Bei”, anche con il Fei (Fondo europei per gli investimenti) da questa controllato. E la seconda sarà garantita dall’intervento dei privati.
Poi c’è il fattore tempo. Perché il Piano Juncker parta, il Parlamento europeo ne deve approvare il regolamento, e questo può avvenire “ragionevolmente in qualche mese”, indica Padoan. Poi sarà necessario altro “tempo perché la macchina si avvii, con la selezione del personale” e la definizione dei dettagli, aggiunge. Nel frattempo, secondo Padoan, può intervenire la Bei “assumendosi qualche rischio in più rispetto al solito”, e iniziando a finanziare dei progetti che possono già partire. Il ministro ricorda che nel corso dell’ultima riunione Ecofin è stato chiesto un incontro con il board della Bei in proposito, e racconta che il presidente Werner Hoyer ha dato “la disponibilità” dell’istituto ad agire senza attendere il Piano Juncker.
Una cosa che la Banca europea per gli investimenti, per altro, sta già facendo. Infatti, lo stesso Padoan sostiene che l’Italia sia “il Paese che più di tutti sta beneficiando dei finanziamenti della Bei”, ricordando che l’Istituto, “senza le garanzie del Piano Juncker, ha appena approvato lo stanziamento di 950 milioni di euro” al nostro Paese “per l’edilizia scolastica”.