di Simon Moores per The Guardian
La tragedia sulle alpi fa emergere le enormi pressioni a cui sono esposti i piloti commerciali
Se qualcosa di buono emergerà dal disastro Germanwings, sarà che le condizioni davanti alle quali si trovano i piloti delle compagnie low-cost verranno finalmente poste sotto esame
Un evento “black swan” (cigno nero) ha tre attributi: imprevedibilità, conseguenze e possibilità di essere spiegato retrospettivamente.
Parliamo principalmente di stanchezza; la spossatezza devastante che si prova dopo diverse ore passate al volante, o forse anche quella che il co-pilota di aereo passeggeri di una compagnia low-cost prova dopo numerosi, rapidi viaggi compiuti in un solo giorno fra diverse città europee.
Come a molti professionisti, anche ai piloti piace socializzare e scambiarsi pettegolezzi; l’opzione preferita é un curry con una birra fredda, da consumarsi fuori la sera. Sono un pilota commerciale, e a volte istruttore al di fuori dell’industria aerea, ma le storie che sento dai miei amici sulle pressioni che si subiscono lavorando in questo ambiente sono ricorrenti ormai da lungo tempo.
Fra gli stress principali, la stanchezza cronica, particolarmente comune fra le compagnie low-cost. Nel marzo 2008 ho trasportato un banner di protesta con il mio aereo, per BALPA (l’Associazione dei Piloti Britannici) a Heathrow, contro le nuove regole approvate dal Parlamento Europeo che uniformavano i tempi di volo e di riposo dei piloti in Europa, nonostante le proteste da parte dei sindacati sul fatto che potessero mettere a rischio la salute dei passeggeri e “costringere i piloti a volare anche quando pericolosamente affaticati.”
Oltre alla stanchezza, piloti più giovani mi hanno raccontato di un altro tipo di stress insidioso in caso di lavoro per compagnie low-cost, cioè quello di perdere il loro primo vero contratto nell’aviazione come pilota commerciale a orario ridotto per non essere riusciti a soddisfare le aspettative del management.
Troppo spesso questa paura ammanta sia i contratti a zero ore sia le circa 50,000 sterline o più di debito contratto per l’addestramento che un primo ufficiale può portarsi dietro quando esce dal simulatore ed si siede sul sedile di destra di un Boeing 737 o di un Airbus A310.
Attualmente in Europa più di un pilota su sei ha un contratto attraverso un’agenzia interinale, è un lavoratore autonomo o lavora con un contratto a zero ore con nessun salario minimo garantito. Come una volta mi ha ricordato un pilota, “C’è una lunga fila di giovani piloti disperati che cercano di salire il primo gradino della loro carriera, felici di prendere il mio posto. Se un giorno non mi presentassi a lavoro, potrei anche non essere chiamato di nuovo.”
Lo scorso dicembre la European Cockpit Association ha chiesto ai Ministri dei Trasporti Europei di fare qualcosa per quelle che sono state definite ingiuste pratiche lavorative, inclusi i contratti a zero ore e “falso lavoro autonomo” – dove i piloti sono costretti a prestare lavoro attraverso la propria società, ma non possono lavorare per altre compagnie aeree.
Se solo si nomina la parola ‘schiavitù’ con un gruppo di piloti, l’effetto sarà quello di scatenare grasse risate – ma ognuno avrà una sua lista, con al primo posto una compagnia. Frequentemente questa è l’unica strada percorribile, molto simile al lavoro vincolato in uso nel XIX secolo, che possa portare ad una carriera di successo, meno stressante e forse meglio remunerata nonché esentasse, presso compagnie aree più grandi, prime fra tutte quelle mediorientali.
Un secondo stress, con ancora negli occhi il disastro della scorsa settimana, è la sicurezza. Solo lo scorso mese, un pilota mi ha detto che ne aveva abbastanza “di essere trattato come un criminale” dalla sicurezza degli aeroporti, e che stava cercando un altro lavoro. I piloti di lunga tratta, che volano andata e ritorno dagli Stati Uniti, provano anche di peggio con la TSA (Transportation Security Administration) e scambiarsi racconti dell’orrore davanti ad una birra fredda è una modo piuttosto comune di rilassarsi. Li ho sentiti parlare in termini di un confronto fra “loro e noi”, parlando dei rapporti con la sicurezza aeroportuale, ma a prescindere da chi può averne colpa, nonché dalle regioni sottostanti, tutto ciò ha un impatto sul morale dell’equipaggio.
Se dovessimo individuare un risultato positivo dalla scorsa settimana, potrebbe essere che finalmente la pressione endemica che i piloti devono ora affrontare all’interno di un’industria brutalmente competitiva verrà finalmente messa in luce, affinché ne sorga un dibattito serio e responsabile.
Simon Moores è un pilota commerciale e pilota di aviazione, advisor aziendale sul risk management