In ben 817 comuni italiani le acque di scarico non sono adeguatamente depurate con rischi per la salute dell’uomo e per l’inquinamento dell’ambiente. A denunciarlo è la Commissione europea che ha riscontrato “violazioni sistematiche degli obblighi Ue”da parte del nostro Paese, che potrebbe essere chiamato a risponderne davanti alla Corte di giustizia europea. Per il momento l’esecutivo comunitario ha inviato all’Italia un parere motivato, invitando il nostro Paese a prendere “misure concrete per ovviare al più presto a tali carenze”. Se la risposta italiana non sarà soddisfacente, scatterà il deferimento alla Corte.
La mancanza di un’adeguata depurazione delle acque reflue riguarda, secondo la Commissione europea, 817 comuni con più di 2 mila abitanti: tra i più grandi figurano Roma, Firenze, Napoli e Bari. Alcuni Comuni, poi non rispettano l’obbligo di applicare un trattamento di depurazione più rigoroso agli scarichi in aree sensibili (tra cui rientrano ad esempio laghi, fiumi e aree costiere). Questo problema interessa una ventina tra regioni e province autonome: Abruzzo, Basilicata, Bolzano, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Trento, Umbria, Valle d’Aosta e Veneto. L’Italia, poi, non rispetta l’obbligo di eliminare il fosforo e l’azoto dagli scarichi in 32 aree sensibili.
In questo modo, sottolinea la Commissione, il nostro Paese contravviene alla legislazione Ue secondo cui, entro il 2005, doveva essere introdotto un trattamento secondario per tutte le acque reflue provenienti da Comuni con un numero di abitanti compreso tra 10 e 15 mila e per gli scarichi in aree sensibili provenienti da agglomerati con un numero di abitanti tra i 2 mila e i 10 mila. Per i comuni con oltre 15 mila abitanti, la scadenza era fissata al 2 mila mentre per gli scarichi provenienti da agglomerati con più di 10 mila abitanti e immessi in aree sensibili, un trattamento di depurazione più rigoroso doveva essere adottato entro il 1998. Insomma l’Italia è fuori regola su quasi tutta la linea visto che “gli scambi di informazioni con l’Italia hanno confermato l’esistenza di quelle che la Commissione considera violazioni sistematiche degli obblighi Ue”. Violazioni di cui l’Italia potrebbe essere chiamata a rispondere davanti alla Corte di giustizia Ue.
Nel pacchetto mensile di infrazioni della Commissione europea, il nostro Paese viene richiamato anche su un altro punto e cioè il recepimento, nell’ordinamento giuridico nazionale, della direttiva sui gestori di fondi di investimento alternativi. Il riferimento è alle norme europee per accrescere la trasparenza delle attività dei gestori di fondi di investimento alternativi dei fondi da essi gestiti. In Italia la direttiva a questo riguardo è stata recepita solo parzialmente visto che, evidenzia l’esecutivo Ue, “non sono state ancora notificate importanti misure concernenti le condizioni di accesso e di autorizzazione dei gestori di fondi alternativi, nonché le norme sui depositari, sulla gestione e la commercializzazione di fondi alternativi e sulla vigilanza”. L’Italia aveva tempo fino al 22 luglio 2013 per attuare la direttiva nel proprio ordinamento giuridico nazionale. Non essendo stata rispettata questa scadenza, la Commissione ha inviato al nostro Paese un parere motivato e, in caso di inottemperanza entro due mesi, potrebbe decidere di portare il caso alla Corte di giustizia e di proporre la comminazione di una sanzione pecuniaria.