Bruxelles – La Commissione europea ha lanciato una procedura d’infrazione contro il Belgio, per le espulsioni di lavoratori cittadini dell’Unione europea che hanno perso il lavoro durante il proprio soggiorno in Belgio. L’oggetto è la possibile violazione degli articoli 7 e 14 della Direttiva 2004/38 sul diritto di soggiorno dei cittadini UE e degli articoli 4 e 61 del Regolamento 883/2004 sul coordinamento della sicurezza sociale.
Questa decisione della Commissione fa seguito alla formale denuncia sindacale trasmessa alla Commissione UE nel novembre scorso, primi firmatari la presidente di INCA CGIL Morena Piccinini e il segretario federale della FGTB Jean-François Tamellini, e alla contestuale interpellanza presentata da Monica Frassoni, co-Presidente del Partito Verde Europeo e coordinatrice di Green Italia, assieme all’eurodeputato verde, Philippe Lambert. L’una e l’altra prendono spunto dal medesimo caso di un lavoratore italiano in Belgio, colpito da un ordine di espulsione dopo essere rimasto involontariamente disoccupato.
“Sulla base del Regolamento europeo 883/2004, e della legge belga sulla disoccupazione, il cittadino in questione soddisfa tutte le condizioni per beneficiare dell’indennità di disoccupazione, facendo valere i suoi 23 anni di contributi versati in Italia oltre agli 8 mesi di lavoro effettuati in Belgio. – dichiarano Monica Frassoni e Carlo Caldarini (INCA CGIL) – Ma con un’interpretazione pretestuosa della Direttiva 2004/38 (art. 7.3), viene espulso neanche sei mesi dopo, adducendo come motivazione che “il suo lungo periodo di inattività dimostra che non ha possibilità reali di trovare un lavoro”.
Questo caso, denunciano Frassoni e Caldarini, non è che la punta di un iceberg. Tra il 2010 e il 2013 sono stati così già espulsi dal Belgio oltre 7.000 cittadini UE, provenienti soprattutto da Romania, Bulgaria, Spagna, Paesi Bassi, Francia e Italia, “tutto questo in contrasto con le norme europee”.
La direttiva sulla libera circolazione (2004/38) conferisce una serie di diritti ai cittadini UE, in materia di soggiorno e di accesso alla protezione sociale. E il regolamento 883/2004, stabilisce a sua volta una serie di principi di diritto comunitario, il cui scopo è evitare che il lavoratore migrante si trovi, dal punto di vista della previdenza sociale, in una situazione sfavorevole per il fatto di aver lavorato in più Stati Membri. “Ritenendo plausibili questi nostri argomenti, la Commissione europea ha quindi lanciato una procedura contro il Belgio, pretendendo una risposta entro il primo aprile. E questa – dicono Frassoni e Caldarini – è per noi la buona notizia”.
Le autorità dello Stato belga hanno però ottenuto una proroga di 30 giorni, per esaminare le conclusioni dell’Avvocatura generale della Corte di giustizia europea, nell’ambito di un altro caso di espulsione avvenuto in Germania (causa C-67/14 Alimanovic). “E questa non è una buona notizia – denunciano i due italiani – . Secondo noi questa proroga può essere pretestuosa, per non dire sospetta”. La causa Alimanovich, dicondo Frassoni e Caldarini, “riguarda un caso completamente diverso da quello da noi sollevato. Si tratta, infatti, dell’espulsione di un cittadino – e dei suoi congiunti – entrato in Germania ‘al solo scopo di cercare un lavoro’ e che in questo paese aveva potuto ottenere una una prestazione sociale non contributiva, finalizzata a garantire la sussistenza e, allo stesso tempo, ad agevolare l’accesso al mercato del lavoro”.
“Nulla a che vedere, quindi, con il caso sollevato dall’INCA CGIL, riguardante – concludono Frassoni e Caldarini – un lavoratore che ha fatto valere il proprio diritto alla libera circolazione in quanto titolare di un contratto di lavoro a durata indeterminata, e che aveva aperto un diritto previdenziale, ossia assicurativo, in virtù dei contributi sociali versati in due diversi paesi dell’UE, Italia e Belgio.”