Roma – Il dibattito sugli obbiettivi della comunicazione per una rinascita industriale europea “si è affievolito”. Michele Bordo, presidente della commissione Politiche Ue della Camera, lo fa notare al sottosegretario Sandro Gozi – convocato in audizione a Montecitorio – e lo invita a chiarire come si stia procedendo, in sede comunitaria, per raggiungere l’obbiettivo di rilanciare l’industria affinché contribuisca per il 20% alla produzione del Pil europeo.
Gozi dà ragione a Bordo, perché “dalla precedente Commissione (Barroso) avevamo ottenuto l’impegno a stilare una road map con gli obiettivi” contenuti nella comunicazione, mentre “nella Commissione attuale non c’è un forte impegno in questo senso”. L’esponente del governo segnala “due debolezze” che rendono difficile dare seguito a quella comunicazione. “La prima – spiega – riguarda le competenze”. E’ infatti convinto che bisognerebbe “cambiare i trattati per rendere la politica industriale una materia concorrente” tra l’Ue e i Paesi membri. Anche se “non è una questione di oggi né di domani”, ammette Gozi, è quello l’obiettivo che a suo avviso si deve perseguire per avere un intervento più efficace dell’Unione e una migliore “sinergia” con gli Stati membri a sostegno dell’industria.
La seconda debolezza riguarda “la disciplina della concorrenza”. Il sottosegretario ritiene la si debba “ripensare” in modo che “favorisca l’emergere di grandi poli industriali europei”. Se fino ad oggi sono state impedite fusioni tra grossi gruppi in nome della concorrenza – è l’interpretazione che si può dare alle parole di Gozi – adesso bisogna favorirle per migliorare la capacità di competere con le multinazionali extraeuropee.
Strettamente legata alle politiche industriali è “la nuova politica europea sugli investimenti”, che per il titolare delle deleghe all’Ue si basa su tre elementi: il Piano Juncker con il Feis (Fondo europeo per gli investimenti strategici), la comunicazione della Commissione sulla flessibilità e i Fondi strutturali europei.
Per quanto riguarda “il primo tassello”, l’esponente dell’esecutivo ha sottolineato i progressi, fatti in seno al Consiglio, riguardo ai negoziati per l’approvazione del regolamento. Ad esempio, nella proposta presentata dall’Econfin “trovano maggiore attenzione le piccole e medie imprese”, sostiene il sottosegretario. Inoltre, aggiunge, “abbiamo ottenuto che si facesse riferimento alla comunicazione sulla flessibilità”, prevedendo la neutralità dei contributi nazionali per il rispetto del Patto di stabilità. Allo stesso modo, prosegue, c’è “un riferimento esplicito ai fallimenti di mercato (investimenti che non garantiscono ritorni economici tali da attrarre i privati) e al gap di investimenti”.
Questi due ultimi aspetti sono importanti per la distribuzione dei fondi. “Non è possibile la ripartizione geografica” delle risorse, risponde Gozi ai deputati, preoccupati di ottenere per l’Italia un ritorno almeno pari al contributo nazionale – il nostro Paese ha annunciato che investirà 8 miliardi di euro, al pari di Germania e Francia – al Piano Juncker. Tuttavia, dal momento che il comitato per la valutazione dei progetti dovrà orientare le proprie scelte “privilegiando i settori in cui ci sono fallimenti di mercato e i territori con maggiore carenza di investimenti”, secondo Gozi questo garantirà all’Italia sufficienti benefici.
Per massimizzare gli effetti positivi, però, anche il nostro Paese deve fare la sua parte. Se da un lato “siamo quelli che hanno presentato la lista più lunga di progetti” da finanziare con il piano europeo, sottolinea Gozi, dall’altro dobbiamo “elaborare una strategia di interventi nazionali che sia connessa” con il Piano Junker. E qui entrano in ballo gli altri due “tasselli”. La flessibilità della Commissione nel valutare il rispetto dei vincoli di bilancio, riporta il sottosegretario, riguarderà non solo il contributo diretto al Piano (gli 8 miliardi), ma anche “il cofinanziamento nazionale dei progetti”, e dunque favorisce un ulteriore intervento.
Poi c’è il terzo strumento: i Fondi strutturali europei. Andranno utilizzati in modo “strategico”, indica Gozi. Se “la filosofia del Piano Junker è quella di attirare la partecipazione di capitali privati”, i Fondi strutturali possono essere orientati “a interventi che difficilmente attraggono gli investitori”.