Bruxelles – “Se il Regno Unito mettesse nello sforzo di riforma dell’Unione europea tanti sforzi quanti ne dovrebbe mettere per far sì che la ‘Brexit’ diventasse un successo sia il Regno Unito sia l’Unione europea ne guadagnerebbero molto di più”. E’ il commento conclusivo di Lord Leach of Fairfort presidente europeo di Open Europe, al corposo studio condotto per l’organizzazione da Mats Persson, Raoul Ruparel, Pawel Swidlicki, Stephen Booth e Christopher Howarth sullo scenario che si aprirebbe per Londra se davvero dal primo gennaio 2018 lasciasse l’Unione europea.
Primo punto in esame è il Pil. Secondo le proiezioni dello studio il Regno Unito potrebbe trovarsi nel 2030, cioè dodici anni dopo l’abbandono, con un Prodotto interno lordo del 2,2 per cento più basso di oggi, nel caso peggiore. Nel migliore potrebbe invece accrescerlo dell’1,6 per cento. “In una forchetta più realistica la situazione potrebbe essere quella di una perdita permanente dello 0,8 per cento o di un guadagno dello 0,6 per cento”. Naturalmente, avvertono gli studiosi, benché le previsioni siano state fatte su modelli economici molto precisi, molto “dipenderà da una serie di gravi decisioni in Gran Bretagna e Europa”.
Un abbandono dell’Unione “non sarebbe comunque il cataclisma che molti paventano, tuttavia trasformare il regno in un’economia di libero mercato, con regolamentazioni leggere sembra facile in teoria, ma in pratica potrebbe trovare molte resistenze all’interno stesso del paese”. Secondo l’analisi “il Regno Unito potrà prosperare fuori dall’Ue solo se è pronta ad usare la sua nuova libertà per adottare misure decise verso la liberalizzazione del mercato e la deregulation, il che la porta ad una serie di scelte difficili”. Ad esempio aprirsi alla concorrenza commerciale con il resto del Mondo “sarebbe essenziale ma questo vorrebbe dire esporre le aziende e i lavoratori a un livello di competizione del tutto nuovo da parte di paesi dove la produzione è a basso costo, e sarebbe dunque politicamente molto sensibile”.
Secondo lo studio di Open Europe “per competere fuori dall’Ue il Regno Unito dovrebbe adottare una politica liberale per i lavoratori stranieri, ma tra gli elettori che vogliono l’asciare l’Ue una maggioranza ha dichiarato di avere come motivazione proprio la limitazione del libero movimento dei lavoratori e dell’immigrazione, e dunque Londra dovrebbe muoversi, in realtà, nella direzione opposta”. Sul fronte delle regole interne oramai la Gran Bretagna ha accolto nel suo sistema un gran numero di regole dell’Unione, che resteranno in vigore finché il Parlamento non le cambierà. Potrebbe farlo, ovviamente ma il costo sarebbe attorno al’1 per cento del Pil, secondo lo studio, “e dunque ne manterrebbe a gran parte, ad esempio quelle sul cambiamento climatico dove Londra è andata già al di là degli standard dell’Unione”.
Dal punto di vista dei rapporti legali con l’Unione lo studio ricorda che l’articolo 50 dei trattati, quello che regola l’abbandono dell’Ue, “esclude il Regno Unito da ogni decisione chiave, come anche dl voto finale, e lascerebbe solo nella mani dell’Unione l’agenda durante i due anni di negoziati previsti per l’uscita, al termine dei quali alla Gran Bretagna potrebbe essere presentata una proposta ‘prendere o lasciare’”. Ad esempio se non ci fosse un accordo commerciale preferenziale “il Pil della Gran Bretagna sarebbe pesantemente colpito”.
Dunque, di fatto, Londra se anche decidesse di lasciare Bruxelles dovrebbe scendere a patti con l’Unione, perché per avere rapporti commerciali con l’Ue bisogna aderire ai suoi alti standard regolatori. Inoltre, secondo lo studio, “benché alcuni standard sono definiti a livello globale, molti settori soffrirebbero della perdita del diritto di voto del Regno unito nell’Unione europea, in particolare quello dei servizi finanziari”.
Londra non può lasciare l’Unione europea come se niente fosse, per ragioni legali ed economiche, e “anzi dovrebbe negoziare accordi fatti apposta per lei”, come un Accordo di libero scambio. Certo, ammettono i ricercatori, il Regno Unito può anche decidere di far da solo “decidendo unilateralmente liberalizzazioni che avrebbero un minimo impatto in negoziati con l’Ue, ma costringerebbe a difficili decisioni interne.
“Data la difficoltà nel lasciare l’Ue e l’estensione delle sfide politiche ed economiche che il Regno Unito si troverà a dover affrontare se vorrà che la Brexit sia un successo nei suoi interessi di lungo termine, sarebbe avventato lasciare prima di aver verificato i limiti delle riforme dell’Unione – concludono gli studiosi -. Limitare le aree di interferenza dell’Ue e spingere sulle liberalizzazioni del mercato sarebbe l’opzione più vantaggiosa per l’Ue e per il Regno Unito”.