Forse non c’era bisogno di uno studio approfondito per capire che la crisi economica e finanziaria degli ultimi anni ha avuto un riflesso anche sul processo di formazione delle norme in Europa. Bastava osservare la rapidità con cui sono stati adottati provvedimenti come il Two pack e il Six pack” o ancora il Fiscal compact siglato addirittura al di fuori del quadro istituzionale europeo. Tuttavia, l’edizione 2014 del Rapporto sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea – elaborato dall’Osservatorio sulla legislazione della Camera e presentato ieri a Montecitorio – certifica sulla base dei dati quella che poteva sembrare solo una impressione.
“Tutte le grandi decisioni strategiche e la portata e l’oggetto stesso delle principali misure normative dell’Ue, soprattutto in materia economica e finanziaria, sono oramai concordate dal Consiglio europeo”. Lo si legge nel rapporto, che evidenzia come questa tendenza stia “comprimendo fortemente sia i margini di discrezionalità della Commissione europea” che “i poteri dei co-legislatori”, quindi anche del Parlamento di Strasburgo.
Secondo lo studio, questo “accentramento nel Consiglio europeo delle funzioni di indirizzo politico e legislativo” è determinato da “esigenze di efficacia e rapidità” delle decisioni. Esigenza che spiegherebbe anche il “ricorso al regolamento quale principale fonte di produzione normativa”, riscontrato dall’Osservatorio in relazione alla settima legislatura europea (2009-2014). Il regolamento, infatti, è direttamente operativo, al contrario della direttiva che deve essere recepita dagli Stati membri.
Lo studio ha registrato anche una accelerazione nell’approvazione delle norme comunitarie secondo la procedura ordinaria: dalla media di 21 mesi della sesta legislatura si è passati ai 19 della settima. Il principale fattore che ha favorito la maggiore rapidità, secondo l’osservatorio, è il “ricorso pressoché sistematico ai triloghi”, le trattative tra Parlamento, Commissione e Consiglio europei.
Se da un lato i triloghi hanno consentito una più celere adozione delle norme, dall’altro hanno determinato un grado minore di trasparenza e partecipazione democratica al processo legislativo. In particolare ne risulta indebolita la capacità di partecipazione dei Parlamenti nazionali, i quali hanno funzioni di indirizzo e di controllo rispetto alle posizioni dei rispettivi governi in seno al Consiglio europeo. Queste funzioni sono inibite “dalla difficoltà di ottenere informazioni tempestive e aggiornate sull’effettivo andamento e sulle prospettive del negoziato” tra le istituzioni europee, si legge nel rapporto. Gran parte delle assemblee nazionali, stando allo studio, riceverebbe informazioni solo dopo che la posizione del Consiglio è stata definita, e talvolta addirittura dopo che il trilogo è già avviato.
Il quadro dipinto dall’Osservatorio non è tuttavia del tutto negativo. Nell’ambito della partecipazione nazionale alla definizione delle politiche e delle norme europee, il rapporto registra una significativa tendenza all’aumento dei pareri espressi da parte dei Parlamenti dei Paesi membri, anche se “la procedura di gran lunga più utilizzata” è “il dialogo politico informale con la Commissione”.
Per quanto riguarda il livello regionale, in Italia il quadro della partecipazione non è lusinghiero. In riferimento alla fase ascendente (dai territori alle istituzioni europee) del percorso legislativo, non risulta sfruttata la possibilità di nominare esperti regionali presso i gruppi di lavoro e i comitati del Consiglio e della Commissione: “non risulta alcun caso di designazione”, si legge nel rapporto. Mentre sono appena 12 le osservazioni e risoluzioni inviate all’Europa dalle Regioni italiane e, per altro, 8 di queste dalla sola Emilia Romagna.