“L’Italia è pienamente favorevole all’approfondimento dei controlli sulle frontiere esterne” dell’Unione europea. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, in audizione davanti ai deputati e senatori del Comitato Schengen, ricorda che l’ipotesi è stata discussa anche nel “recente Consiglio europeo informale del 12 febbraio”, dove si è “raggiunto un accordo sulla necessità di far ricorso alle intere potenzialità offerte dall’attuale codice Schengen per introdurre, anche a carico di cittadini comunitari, controlli sistematici all’atto del’attraversamento delle frontiere esterne”.
Si tratta di una misura volta a A garantire una maggiore sicurezza contro il terrorismo. Tuttavia, precisa il titolare della Farnesina, “in nessun caso” si “mira a reintrodurre controlli all’attraversamento delle frontiere interne tra gli Stati membri”. Dal momento che “la libertà di circolazione nell’area Schengen è e rimane tra i fondamenti del nostro spazio comune”, rinunciarvi equivarrebbe a riconoscere una “vittoria dei nostri nemici”.
Il capo della diplomazia italiana affronta anche la questione del potenziale legame tra i flussi migratori irregolari e l’infiltrazione di terroristi. “È chiaro che non possiamo negare ipotetici rischi” in tal senso, ammette, ma “dalle informazioni di intelligence non abbiamo indicazioni che questi rischi ipotetici si siano trasformati in rischi reali”.
Per quanto riguarda l’emergenza legata all’aumento dei flussi di migranti, Gentiloni ribadisce la richiesta di un maggiore impegno dell’Europa. Ricorda la lettera inviata ad alcuni commissari europei in cui chiedeva più risorse e mezzi per far fronte al problema, e riconosce che “una prima accoglienza alle nostre richieste è arrivata” da parte dell’esecutivo di Buxelles, che ha stanziato dei fondi straordinari per Frontex.
Ma la partita è più ampia e complessa. Va giocata definendo una nuova politica europea per l’immigrazione. E in quest’ottica, secondo il ministro,“i prossimi mesi saranno decisivi”. I punti da affrontare riguardano “la sorveglianza dei confini”, che “con le attuali regole è affidata al singolo stato membro”, ma sulla quale solo “un impegno comune” può garantire “i mezzi navali sufficienti e le ingenti risorse economiche necessarie a mantenerli”.
Poi c’è il fronte degli “accordi con i paesi di provenienza e di transito”. Un fronte sul quale l’Europa è già impegnata con il processo di Kartoum e quello di Rabat. Ma che richiede ogni sforzo per risolvere la crisi in Libia, da dove partono “il 90%” dei migranti che tentano di raggiungere le nostre coste, sottolinea Gentiloni. Si tratta però di “un Paese che non ha nessun potere statuale”, e questo rende “impossibile fare un accordo” per ridurre le partenze dei migranti.
Infine, un altro nodo deve essere sciolto in sede europea: la valenza reciproca, tra gli stati membri, del riconoscimento del diritto d’asilo ai rifugiati. L’Italia chiede da tempo una revisione del trattato di Dublino III, ma in attesa che ciò avvenga, “chiediamo di applicare puntualmente gli strumenti di flessibilità previsti dalla normativa vigente”, spiega Gentiloni. Ad esempio quella che fa “riferimento al ricongiungimento familiare e al supremo interesse del minore”. Secondo il ministro “basterebbe già l’attuazione di questi strumenti di flessibilità per garantire, senza alcuna modifica dei trattati, il principio di solidarietà” tra gli Stati membri, sgravando l’Italia di una parte considerevole di rifugiati cui dare accoglienza.