Prudenza e dialogo: è questa la linea passata al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite sulla crisi libica, nella riunione convocata su richiesta dell’Egitto e della Francia. L’Onu ha scelto di concedere “pieno appoggio” al suo inviato speciale, Bernardino Leon, concedendogli ulteriore tempo per portare avanti la discussione intavolata con le parti in causa. Leon, intervenuto in video conferenza, ha parlato degli “atti di terrorismo orribili e brutali” a cui “abbiamo assistito nelle ultime settimane” nel Paese nordafricano. Questi, secondo il diplomatico, non devono però portare a decisioni affrettate per un intervento militare. Al contrario, “devono stimolare un’azione a sostegno del processo politico”.
Passa dunque la linea indicata nella dichiarazione congiunta sottoscritta dai principali Paesi europei (Italia, Francia, Germania, Regno unito e Spagna) insieme con gli Stati uniti, e indicata nei giorni scorsi anche dall’alto rappresentante per la Politica estera e di difesa dell’Ue, Federica Mogherini. La stessa posizione espressa ieri dal ministro degli esteri Paolo Gentiloni nella sua informativa al Parlamento italiano: bisogna moltiplicare gli sforzi per una soluzione politica alla crisi.
Su questo terreno Leon si è mostrato ottimista, sottolineando i “significativi passi in avanti” che sono stati realizzati. “Sono stati avviati colloqui e sono stati portati al tavolo rappresentanti dell’intero scenario politico, militare e sociale” della Libia, ha dichiarato, aggiungendo che le divergenze tra le parti “non sono insormontabili”. Chiedendo che nuovi colloqui vengano organizzati a Ginevra, l’inviato Onu ha invitato il Consiglio a fare proprio un “senso di urgenza” per “sostenere con decisione il processo politico”, sul quale si è detto fiducioso che possa dare “presto” i frutti sperati.
Le Nazioni unite hanno bocciato, almeno per il momento, la linea interventista dell’Egitto e del governo libico di Tobruk, quello laico riconosciuto dall’Occidente e in conflitto con l’altro esecutivo, islamista moderato, che controlla di Tripoli. Il rappresentante egiziano alle Nazioni Unite chiedeva un intervento militare della comunità internazionale, in appoggio ai raid aerei condotti dal Cairo. Inoltre, insieme con l’esecutivo di Tobruk, ha chiesto la rimozione dell’embargo sulle armi nei confronti del governo riconosciuto, in modo da consentirgli di portare avanti l’offensiva contro i gruppi collegati allo Stato islamico. Armi che però, con ogni certezza, verrebbero usate anche contro la fazione avversaria che governa Tripoli, anch’essa comunque ostile ai fondamentalisti del Califfato. Tanto un intervento militare diretto dei Caschi blu Onu, auspicato solo da Tobruk, quanto la fornitura di armi a una delle due fazioni in lotta, avrebbero l’effetto di minare il successo di una soluzione politica che punta a un governo di unità nazionale in Libia. Questo spiega la prudenza del Consiglio di sicurezza.
L’evoluzione della crisi sarà comunque monitorata. Le prossime settimane saranno decisive per capire se il dialogo tra le parti possa portare a soluzioni condivise dai vari attori libici e dalla comunità internazionale. Nel frattempo, la sensazione è che eventuali nuove decisioni, da parte dell’Onu, non verranno prese prima del 13 marzo. In quella data, lo ricordava ieri Gentiloni, il Consiglio di sicurezza sarà chiamato a decidere sul rinnovo della missione Unsmil (Missione delle Nazioni unite a supporto della Libia), alla quale, se si rendesse necessario, potrebbero essere assegnati nuovi compiti.
In questa ottica, come annunciato in Parlamento dal titolare della Farnesina, il rappresentante permanente dell’Italia al Palazzo di Vetro, Sebastiano Cardi, ha confermato che il nostro Paese è pronto “a contribuire al monitoraggio di un cessate il fuoco e al mantenimento della pace. Siamo pronti a lavorare all’addestramento delle forze armate libiche – ha aggiunto Cardi – in una cornice di integrazione delle milizie in un esercito regolare”. Infine, ha proseguito il diplomatico, l’Italia garantisce il proprio impegno anche “per la riabilitazione delle infrastrutture” in Libia.