“Bisogna fare ogni sforzo perché la Grecia continui a stare nell’Ue e nell’euro. Credo che nessuno sia interessato al fallimento di Atene, perché produrrebbe conseguenze pesanti sulla tenuta complessiva dell’Unione europea”. Mentre incontriamo Michele Bordo, presidente della commissione Politiche Ue della Camera, si sta per riunire l’Eurogruppo per valutare le proposte elleniche sulla rinegoziazione del debito pubblico (poi il primo round si concluderà con un rinvio a lunedì). Uno dei temi caldi del momento, insieme con la crisi in Ucraina e l’emergenza dei flussi migratori, con l’ennesima tragedia che ha mietuto altre centinaia di vittime nel Mediterraneo. Di tali questioni discutiamo con il deputato Pd, affrontando anche il Piano Juncker, del quale è relatore nella discussione avviata alla Camera dei deputati.
Eunews: Presidente Bordo, partiamo dalla Grecia. Le premesse del negoziato non sembrano delle migliori. Cosa si aspetta?
Bordo: Fino all’ultimo bisogna negoziare perché la Grecia possa fronteggiare le sue esigenze immediate, ma allo stesso tempo si impegni con le riforme necessarie in quel Paese. Da parte dell’Ue ci deve essere disponibilità a rinegoziare il debito, per esempio allungando i tempi per il rientro. Ma quello che non si può permettere è che Atene pretenda di annullare il debito contratto in questi anni. Sarebbe un precedente che nessun altro Stato membro potrebbe tollerare, atteso che ci sono stati altri, prima della Grecia, nelle stesse condizioni, e che non si sono visti riconoscere questo beneficio.
E.: Nell’incontro con il suo omologo Alexis Tsipras, il premier Matteo Renzi ha offerto un appoggio che alcuni considerano timido. Che ne pensa?
B.: Per quanto riguarda l’Italia, non vogliamo portare al collasso lo Stato ellenico. Io sono il primo a riconoscere che, anche se volesse, la Grecia non è nelle condizioni di rispettare i tempi previsti dagli impegni che aveva assunto, e sono favorevole a degli sforzi per trovare le risorse necessarie a far fronte nell’immediato a queste esigenze. Ma il governo Tsipras non può chiedere di non avere controlli, di non pagare i debiti e di non fare le riforme.
E.: In realtà non è questo che chiede. Dice di voler pagare e fare le riforme, ma vuole tempo e spazi di manovra per far crescere l’economia.
B.: La questione è un po’ più articolata. Io penso che serva buon senso e si debbano abbandonare i toni da campagna elettorale, da una parte e dall’altra. Adesso ci sono i negoziati: bisogna sedersi attorno a un tavolo per trovare soluzioni soddisfacenti non soltanto per l’Ue – che non ha ragione in tutto e per tutto – ma anche per la Grecia.
E.: Le tragedie di queste ore stanno riportando all’attenzione il tema dell’immigrazione. La missione europea Triton, che ha compiti di pattugliamento, non è in grado di sostituire Mare Nostrum, che invece si occupava di soccorso in mare. Serve un impegno maggiore?
B.: Triton non è sufficiente. Lo diciamo noi e lo dice anche l’Ue. Il punto è che non può essere solo il nostro paese a far fronte all’emergenza, non abbiamo la forza né risorse necessarie. L’Europa deve farsene carico, deve aumentare le risorse a disposizione e deve, soprattutto, fare molto di più sul piano politico, per evitare che continuino i flussi migratori verso il nostro paese. Evidentemente bisogna intervenire a monte, mobilitando risorse ed energie nei Paesi di origine.
E.: Che tipo di interventi vanno realizzati?
B.: Accordi con i Paesi d’origine e di transito perché si possano fare controlli sul posto in merito al riconoscimento dello status di rifugiato. Questo ridurrebbe i flussi in arrivo. Poi, è evidente che bisogna fare ogni sforzo per ridurre la povertà di quegli Stati, perché significherebbe intervenire sull’origine di una parte considerevole del flusso migratorio.
E.: Come valuta il fatto che l’alto rappresentante per la Politica estera dell’Ue non fosse presente oggi all’incontro di Minsk sulla crisi Ucraina, a cui hanno partecipato Angela Merkel e Francois Hollande per mediare tra Vladimir Putin e Petro Poroshenko?
B.: Non è la prima volta – è questo è il problema – che l’Europa non è protagonista come soggetto unitario nella gestione delle crisi che ci sono nel Mondo. Accade perché i singoli Stati provano a far prevalere l’interesse nazionale rispetto a quello europeo. Ma la prospettiva di costruire una Europa più unita, non solo sul piano economico, ma su quello della politica, della sicurezza, della giustizia, è un obiettivo sul quale ci dobbiamo impegnare tutti di più. Non è un problema di Mogherini o di Ashton ancora prima. Il tema è quale Europa vogliamo costruire. Se continua a essere quella di questi mesi, rischia di rimanere ai margini delle decisioni più importanti che si assumono a livello globale. E quello che bisogna combattere.
E.: Lei è relatore alla Camera per la discussione sul Piano Junker. Come lo giudica?
B.: Il Piano Juncker è un importante passo avanti, una inversione di tendenza rispetto all’approccio che l’Europa ha avuto in questi anni, tutto improntato al rigore, all’austerità, al rispetto dei parametri. L’Ue si è dedicata poco alla crescita, allo sviluppo, ai consumi. Ora è il momento di cambiare questa impostazione, bisogna puntare tutto sulla crescita e l’occupazione. Per farlo, l’Europa deve riconoscere intanto maggiore flessibilità ai paesi che in questi anni hanno dimostrato di voler fare le riforme e voler risanare i debiti pubblici, come ha fatto l’Italia.
E.: Una richiesta che sembra accolta dalla comunicazione della Commissione Ue sulla flessibilità.
B.: Noi abbiamo chiesto che venisse sbloccata la spesa per gli investimenti pubblici dal Patto di stabilità. Questo non è stato riconosciuto in linea generale, ma nel piano Juncker c’è la possibilità, per i contributi nazionali, di essere svincolati dal computo del rapporto deficit/Pil. E’ un primo passo avanti, timido, nella direzione che noi auspichiamo. Un risultato che noi rivendichiamo, perché se c’è questo piano per gli investimenti, e se in Europa si comincia a parlare di crescita e occupazione, è perché noi abbiamo chiesto insistentemente che ci fosse un approccio diverso dell’Ue.
E.: Quali sono gli elementi critici del piano europeo per gli investimenti?
B.: Si prevede di liberare risorse per 315 miliardi per le infrastrutture che servono all’Europa per ripartire. Ma le risorse per questi investimenti, i fondi di garanzia che ci si aspetta mobilitino risorse private per raggiungere il monte di 315 miliardi di euro previsto dal piano, sono ancora insufficienti.
E.: C’è anche un problema di attratività dei progetti?
B.: Bisogna fare in modo che la selezione dei progetti da finanziare sia fatta anche da un organo politico e non solo tecnico. Bisogna fare ogni sforzo perché gli investimenti privati siano sufficienti, e creare le condizioni perché siano attratti. Per farlo è bisogna conciliare la necessità di investire su progetti a lungo termine e garantire un ritorno nell’immediato.