Ci sono delle regole nell’Unione europea, ci sono dei patti, che vanno rispettati. Dimostrare serietà e costanza negli impegni è ovviamente fondamentale per la credibilità, interna ed esterna, e per poter portare a termine dei progetti.
E’ anche vero che la storia, per sua natura, non ha un processo lineare, succedono cose non previste, altre sono il frutto voluto di decisioni. In Grecia negli ultimi cinque-sei anni è successo di tutto: conti pubblici falsati, Bruxelles che faceva finta di niente, premier socialisti con i conti in svizzera, premier popolari figli e partner dei governi che avevano falsato i conti, Stati esteri che hanno deciso chi doveva essere licenziato e di quanto andavano tagliati salari e pensioni. Si è cancellata ogni progettualità e la stessa Troika ha ammesso, davanti al Parlamento europeo di aver usato “un algoritmo sbagliato”, come se un Paese, un popolo, possa essere gestito con modelli matematici, giusti o sbagliati che siano.
Nonostante errori del passato e del presente la Grecia ha però dimostrato una cosa: di essere una democrazia forte, che ha gestito (magari anche sbagliando) questa fase sempre con governi democraticamente eletti e quando non c’è riuscita al primo colpo ha votato una seconda volta. Si deve ammettere che, per quanto alle volte sul filo dei voti, i governi greci sono stati tutti eletti con il consenso popolare, li hanno scelti i cittadini. Così come hanno scelto, dopo lunga e attenta riflessione e sperimentazione di altre soluzioni, quello ora guidato da Alexis Tsipras.
Qui deve entrare, ma siamo convinti che stia già succedendo, il realismo delle regole. Ha ragione il governo tedesco ad insistere che le regole, i patti, vanno osservati, altrimenti il danno è per tutti. Ma è anche vero che come si sono modificate le regole davanti alla crisi, se i cetrioli non devono più esser dritti perché ci si accorse che la scelta, ammesso che fosse giusta all’inizio, era diventata sbagliata, così come si adattano le regole alla minaccia terroristica, così ci si può dover render conto che in Grecia le cose dal punto di vista economico non si stanno muovendo come si sperava, e che il Pil reale, come ripete da mesi l’attuale ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, non è in crescita, ma in ribasso, dopo aver costretto il cittadini a ripagare i debiti alle banche tedesche e francesi senza, nel contempo, introdurre solide misure per la crescita.
Se ne sono accorti, esplicitamente, i britannici, che sembrano in questi mesi i più grandi sostenitori dell’euro, pur non facendone parte. Un collasso della moneta unica danneggerebbe enormemente la finanza londinese, saldamente ancorata alla moneta del Continente e partecipe delle sorti della Banca centrale europea. E da Londra arrivano, dalla stampa e dal governo, ripetuti appelli ad affrontare la questione Grecia con più realismo e meno rigidità.
Certo, a Bruxelles si può decidere di mettere in ginocchio il governo Tsipras. Di costringerlo ad alzare le mani e, ovviamente, a dimettersi. E’ il gioco che la Germania di Angela Merkel ha giocato con tutti i Paesi poi messi “sotto programma di aiuti”: in Portogallo, come in Irlanda, o a Cipro gli aiuti sono arrivati solo quando il governo del Paese è andato a un partito popolare e non più del centrosinistra. Forse Merkel vuol fare la stessa cosa. Ma questa volta, sentendo gli elettori e i sondaggi degli ultimi giorni, la stragrande maggioranza dei greci (e non solo di sinistra) è con Tsipras, farlo cadere quello sì sarebbe un rischio enorme di instabilità. Sarebbe una mossa davvero avventata e pericolosa per tutta l’Unione.
Dall’euro, poi, i Trattati europei non prevedono la possibilità di uscita. Si può lasciare l’Ue, ma non la moneta unica, che anzi deve essere obbligatoriamente introdotta in tutti i nuovi paesi aderenti. Certo, anche questa regola si può cambiare, si può prevedere la possibilità di lasciare l’euro o di essere cacciati magari dal club. Ma sarebbe una mossa saggia? Si darebbe un’immagine di forza dell’Eurozona? Ovviamente no.
La forza è nel saper adattarsi alle situazioni per gestirle al meglio. La roccia si scava pezzetto a pezzetto. E dunque la soluzione greca è evidentemente solo politica. I conti in tasca ad Atene possono esser fatti in mille modi, c’è anche chi, dalla Gran Bretagna, mette in dubbio che sia corretto calcolare il debito greco al 177 per cento del Pil, perché una parte di quel debito deve esser pagata a partire dal 2020, perché comunque il resto non scade “domani”, mentre il Pil deve ripartire oggi, anche per poter pagare il debito domani, per far rinascere un Paese forte e in grado di concorrere alla ripresa complessiva dell’Unione.
Dunque va trovata un’intesa (con uno sforzo da ambo le parti) su come misurare i conti greci nell’ottica di dare la possibilità al popolo greco di veder realizzati i progetti per i quali ha votato e per potersi riprendere, perché l’occupazione riparta, le medicine arrivino a chi ne ha bisogno, le pensioni e i salari permettano di vivere decorosamente.