Italia con poca attenzione per i giovani e misure incapaci di rispondere a un problema, quello della disoccupazione degli under 25, “diventato ormai strutturale”. Eccolo il Belpaese nella fotografia scattata dal Parlamento europeo in uno studio redatto per la commissione Lavoro. Riforma del mercato del lavoro dagli esiti controproducenti, scarse tutele, pochissimi prestiti, tirocini che non danno sbocchi, politiche di sostegno all’occupazione inadeguate. Questo e altro nell’Italia del nuovo millennio, situazione che fa del nostro Paese un caso degno di approfondimento specifico in uno studio di 150 pagine pensato originariamente per offrire una panoramica sulle politiche a sostegno dei giovani a livello Ue. Niente, ma proprio niente, sembra salvare l’Italia. Ecco la lista delle criticità redatta da Bruxelles.
Riforma del mercato del lavoro. Riforme diverse sono state introdotte a più riprese al fine di liberalizzare un mercato contraddistinto da contratti a tempo indeterminato e considerato troppo rigido, ma le stesse riforme – rileva il Parlamento Ue – hanno finito per creare un sistema in cui “i lavoratori più anziani sono protetti più del necessario rispetto alle tipologie contrattuali, la sicurezza sociale e gli stipendi d’ingresso”, mentre le nuove norme concepite per agevolare le assunzioni “hanno colpito principalmente i giovani lavoratori, che in periodi di disoccupazione hanno meno tutele e meno benefici dei lavoratori più anziani”. Inoltre, le riforme delle pensioni con l’aumento della vita lavorativa “hanno ulteriormente ridotto la domanda di lavoro e la qualità di lavoro”, con il risultato di un dualismo sempre più marcato “insiders-outsiders” (lavoratori più anziani-lavoratori più giovani).
Contratti di lavoro. Il dualismo tra lavoratori giovani (under 25) e lavoratori anziani (over 25) “è evidente” se si guarda alla tipologia contrattuale, in quanto “le giovani leve sono usate in modo sproporzionato con contratti a tempo determinato” rispetto ai colleghi italiani ed europei. I numeri parlano chiaro: i contratti a termine per la fascia 25-64 anni erano in Italia l’8% della tipologia contrattuale nel 1998 e il 12% nel 2012 (sulla stessa scala di riferimento Ue), mentre i contratti a termine per gli under 25 sono passati dal 23% del totale del 1998 al 52% del 2012 (contro una media Ue arrivata al 41%).
Flessibilità. “Le aziende italiane tendono a usare i contratti temporanei come strategia di riduzione del costo del lavoro piuttosto che come sistema di selezione di nuovi lavoratori”, denuncia lo studio del Parlamento Ue. Anche se, si precisa, i datori di lavoro “sostengono che i lavoratori temporanei sono preferiti non tanto per il costo ma perché, qualora necessario, il loro processo di licenziamento è più flessibile”.
Deregulation. Per rendere più dinamico un mercato del lavoro ritenuto troppo ingessato, l’Italia ha rimosso troppo e il risultato è un sistema adesso privo di regole. “Nell’ultimo decennio i contratti a tempo determinato per il lavoro dipendente sono stati deregolamentati, con il conseguente aumento sopra le medie Ue del numero di persone con impiego flessibile e atipico.
Apprendistato. Per via della crisi il governo ha deciso di estendere i contratti di apprendistato fino ai 32 anni, anche se l’Italia definisce “giovani lavoratori” gli individui di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Ma l’Italia, ci viene rimproverato, “è caratterizzata dal diffuso uso e abuso di tirocini tra i giovani”. Anche qui “in alcuni casi” questi tirocini sono usati come strumento per ridurre il costo del lavoro e “c’è il rischio evidente di ‘trappole delle formazione’”.
Programmi mirati. Un vero e proprio fallimento. Il Parlamento europeo cita due casi: il programma Fixo per la formazione e l’innovazione per l’occupazione e i Piani Locali Giovani (Plg). Fixo è stato avviato con l’obiettivo di far aumentare il tasso occupazionale dei neo laureati, favorendo il passaggio dal mondo dell’istruzione a quello del lavoro. Considerato che nel 2009 i laureati sono stati 227.950 e solo 32.250 di essi hanno usufruito del programma, il Parlamento giunge alla conclusione che la misura “ha portata ridotta e impatto limitato”. Non solo: di questi 35.250 neo-laureati meno della metà (15.905) sono stati sottoposti a tirocini, tirocini per i quali gli studenti ricevevano 200 euro al mese e i datori di lavoro 2.300 euro al mese per coprire i costi dell’apprendistato. I Piani Locali Giovani (Plg) sarebbero anche misure per rendere più agevole il lavoro autonomo per gli under 25 (i giovani imprenditori, per intenderci), ma siccome ottenere accesso al credito e prestiti è piuttosto difficile, gli interventi per sostenerli sono limitiati.
Strategie globali. In Italia sono praticamente assenti. Politiche del mercato del lavoro coordinate “sono poche e lontane tra loro”. In altri termini, non c’è comunicazione né esiste una rete di azioni. Come se non bastasse, “i Servizi pubblici per l’impiego non sono molto attivi nell’aiutare i giovani”.