Dopo l’elezione del capo dello Stato, gli equilibri politici italiani sono in una fase di riassestamento. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi, nella partita per il Colle, ha ricucito le lacerazioni interne al suo partito e spostato l’instabilità altrove. Tanto tra gli alleati del Nuovo centro destra del ministro degli Interni Angelino Alfano, quanto (soprattutto) in Forza Italia che sta all’opposizione, ma che fino a pochi giorni fa aveva in piedi il famigerato Patto del Nazareno con il premier, per portare avanti insieme le riforme istituzionali.
Il partito di Silvio Berlusconi rischia di esplodere da un momento all’altro. Rimangono forti le pressioni della componente che fa capo all’eurodeputato Raffaele Fitto, il quale continua a chiedere un azzeramento dei vertici forzisti, anche dopo che Mercoledì, nella direzione nazionale, i massimi dirigenti hanno presentato le dimissioni, vedendosele però rifiutare dall’ex Cavaliere. Ieri, il capogruppo azzurro alla Camera, Renato Brunetta, ha provato a ricucire. Ha sottolineato che “Fitto è una grandissima risorsa”, ma Fi è “un partito anarchico e monarchico che trova la propria sintesi in Berlusconi”. Quindi, “adesso tutti insieme faremo opposizione responsabile”, ha conclude il presidente dei deputati forzisti.
La dichiarazione di Brunetta lascia intendere due cose. La prima è che il partito si può tenere unito solo se fa opposizione a Renzi. Per questo, dalla la direzione nazionale di Fi – a cui Fitto non ha preso parte, preferendo convocare una conferenza stampa per ribadire il proprio dissenso – è stato lanciato il messaggo che “il patto del Nazareno non c’è più”. Ma la seconda cosa che dice Brunetta, aggiungendo a “opposizione” l’aggettivo “responsabile”, è che comunque Berlusconi non intende sfilarsi dall’accordo con il premier. Due posizioni difficili da conciliare, dunque rimane il dubbio che una, quella di rottura con Renzi, sia soltanto la reazione momentanea allo schiaffo subito sulla vicenda Quirinale.
Anche Ncd non se la passa bene. Se ieri Alfano ha confermato che, dopo un incontro col premier mercoledì, l’intesa della maggioranza si è rafforzata. Sono ancora molti, nel suo gruppo, a non aver digerito lo smacco per essere stati marginalizzati nella scelta del candidato al Colle. Secondo ambienti vicini a Palazzo Chigi, sarebbero quasi la metà i parlamentari di Area popolare (Ncd-Udc) pronti a sfilarsi dalla maggioranza. Cosa che rappresenterebbe un problema non da poco, visto che il gruppo è molto folto al Senato, dove la maggioranza ha numeri più risicati.
Se finora le certezze di Renzi non sono mai state deluse – vedi la nomina di Federica Mogherini a lady Pesc e l’elezione del presidente Sergio Mattarella al pronosticato quarto scrutinio – è lecito supporre che anche la convinzione di portare “a casa le riforme” poggi su solide basi. Quali sono, se l’accordo con forza Italia è naufragato ed Ncd rischia di sfaldarsi?
Nei corridoi di palazzo si ventilano diverse ipotesi. Si parla della possibile nascita di un gruppo parlamentare pronto a sostenere il governo qualora Ncd si sfilasse. E altrettanto disposto a correre in soccorso dell’esecutivo se Forza Italia non dovesse tornare a collaborare sulle riforme istituzionali. Sarebbe pronto anche il nome, “Orizzonte 2018”, a indicare l’aspirazione proiettata sull’intera durata della legislatura. Consentirebbe al premier di tirare dritto sulle riforme senza preoccuparsi di Berlusconi, e senza dover concedere troppo alla sinistra del Pd.
La composizione di questo potenziale assembramento appare incerta. C’è la parte di Ncd intenzionata a rimanere al governo, e ci sono gli ex del Movimento 5 stelle, molti dei quali mantengono una posizione dialogante con la maggioranza. Acuni rumor riguardano addirittura Forza Italia. Qualche deputato e senatore azzurro sarebbe pronto ad aderire alla nuova iniziativa sotto la regia del coordinatore Denis Verdini, il quale ha da sempre buoni rapporti con Renzi, ma appare difficile che possa abbandonare Berlusconi se non con il suo assenso. A esercitare il ruolo di “responsabili” in appoggio al governo, ci sarebbero anche alcuni filorenziani di Sel. Ma con loro l’asse penderebbe troppo a sinistra per i gusti del premier, e diventerebbero più difficili da praticare le altre opzioni fin qui descritte.
Secondo il Corriere della Sera “sei senatori di Scelta civica sono pronti pronti al trasloco nel Pd. . Lasciano l’incerto approdo di Scelta civica, il partito fondato (e poi abbandonato) da Mario Monti e partono per il porto sicuro di Matteo Renzi. I più vicini allo strappo, non ancora ufficiale, sono i senatori Linda Lanzillotta, Pietro Ichino, Alessandro Maran, Benedetto Della Vedova e Gianluca Susta. Anche il ministro Stefania Giannini ha intenzione di traslocare: quindi il gruppo del Senato si sposta in blocco, tranne Monti che non commenta e resta al suo posto di senatore a vita”.
In realtà, un formale gruppo di soccorso alla maggioranza potrebbe non vedere mai la luce. Da un lato, perché i soccorsi potrebbero arrivare sui singoli provvedimenti, di volta in volta, da direzioni diverse. Sarebbe una conferma di quanto ha fatto fin qui l’inquilino di Palazzo Chigi, con una maggioranza per governare, un’altra per riformare la Costituzione e la legge elettorale, un’altra ancora per eleggere il presidente della Repubblica.
Dall’altro lato, perché sebbene si lavori ad allargare la maggioranza, per metterla al riparo dai mal di pancia di Ncd e Fi, questo, per Renzi, è solo un piano B. Forse solo uno strumento di pressione per convincere, tanto Ncd quanto Forza Italia, a non tirare troppo la corda e a lasciare gli equilibri come stanno. Anche perché, oltre al piano B, c’è anche l’alternativa che porta ad elezioni anticipate. E visti i sondaggi, chi ci perderebbe di più è proprio Berlusconi, ma neppure il Nuovo centro destra se la passa bene.